Dina Nerozzi al Senato contro il progetto di legge Zan

22 Luglio 2020 – 14:17
Dina Nerozzi

Riportiamo l’Audizione al Senato della prof.ssa Dina Nerozzi, medico, specialista in Neuropsichiatria ed Endocrinologia già titolare del Corso in Psiconeuroendocrinologia all’Università di Roma Tor Vergata, sulla proposta di legge n° 569 Zan et altri Relativa all’Orientamento sessuale e all’Identità di Genere.

La proposta di Legge n° 569 Zan et al. rappresenta solo l’ultima tappa della rivoluzione antropologica del Gender, che vuole eliminare le radici biologiche dell’essere umano per farne un semplice prodotto culturale manipolabile a piacimento. La legge prevede la censura e la detenzione per chi si rifiuta di allinearsi ai dettami del nuovo mondo politicamente corretto.

Per cercare di capire l’origine di un pensiero così rivoluzionario della realtà umana è necessario rifare il percorso culturale che ci ha portato all’attuale situazione.

Il 30 Luglio 1946 il presidente Truman firmava l’adesione degli USA all’UNESCO: «L’UNESCO chiamerà a collaborare alla causa della pace le forze dell’educazione, della scienza, dell’apprendimento, delle arti creative, delle agenzie cinematografiche, della radio e della carta stampata… al fine che gli uomini possano essere educati alla giustizia, alla libertà e alla pace. Per fare in modo che la pace sia durevole, l’educazione deve stabilire l’unità morale del genere umano».

Partiva il processo di globalizzazione culturale e il critico letterario newyorkese Lionel Trilling nel suo articolo The Kinsey Report pubblicato su Partisan Review nell’aprile 1948 ci aiuta a capire meglio la situazione e anche il significato reale della parola “democratico”. «Coloro che asseriscono a praticano le virtù democratiche prenderanno come assunto che, ad eccezione delle difficoltà economiche, tutti i fatti sociali devono essere accettati non solo a livello scientifico ma anche sociale. Non si dovranno esprimere giudizi su di loro e sarà considerata antidemocratica ogni conclusione tratta da coloro che recepiscono valori e conseguenze».

Questo avveniva sul versante “occidentale” mentre di quello che accadeva su quello orientale ci informa Gyorgy Lukacs, il filosofo ungherese della Scuola di Francoforte in: Marxismo e Politica Culturale del 1959: «Tutta la scienza e tutta la letteratura devono servire esclusivamente alle esigenze propagandistiche formulate dall’alto, dallo stesso Stalin… la comprensione ed elaborazione autonoma della realtà era bandita per sempre». Sia sul versante liberale che su quello comunista veniva messa in campo un’armata poderosa che doveva cancellare la realtà biologica dell’essere umano per ricreare un mondo nuovo pieno di pace e di armonia a patto che a dettare le regole fosse la politica. La questione non è la Verità, o la ricerca della verità, la questione sul tappeto è il Potere e con esso la capacità di definire la realtà delle cose.

Questo è il significato del politicamente corretto: non esiste una realtà che non possa essere manipolata dalla volontà dell’uomo ma è la politica che decide il vero e il falso, il bene e il male. Era il benservito alla morale giudaico-cristiana e l’avvento di una nuova era in cui a governare era l’uomo con la sua “scienza”.

Per costruire il nuovo mondo pieno di pace e di armonia è necessario dichiarare guerra:

  1. alle Religioni ancorate al passato e all’ordine naturale
  2. alle Tradizioni popolari perché sono legate ai credo religiosi
  3. alla Natura perché è solo un’invenzione dei populisti bigotti e di conseguenza all’Anatomia, alla Fisiologia, alla Genetica e dunque alle scienze biologiche.

Joseph De Maistre filosofo, giurista e politico (1753-1821) ci ricorda come: «Le false opinioni somigliano alle monete false: coniate da qualche malvivente e poi spese da persone oneste che perpetuano il crimine senza saperlo».

Alla fine degli anni 50 John Money inventa l’inganno del Gender: ruolo di genere socialmente indotto (John Locke e la tabula rasa), maschi e femmine non si nasce ma si diventa. Il termine gender deriva dal latino gignere, che significa generare, e l’unico ruolo di genere esistente in natura è quello per cui le femmine partoriscono e i maschi fecondano. Le donne possono fare le astronaute, le scienziate, possono guidare treni a camion ma non possono fecondare; allo stesso modo gli uomini possono cambiare i pannolini, cucinare, creare la moda ma non possono essere fecondati e partorire.

Sempre a John Money si deve la distinzione di Identità di Genere in contrasto con l’identità sessuale biologica (cogito ergo sum di Cartesio). Anche in questo caso l’identità di genere, cioè quella percepita nella mente, viene rapidamente contrastata non dai fanatici bigotti ma dalla genetica impressa in ogni singola cellula del corpo a ricordare che si può essere o maschi Y o femmine X.

Perché una ipotesi irrazionale priva di riscontri scientifici ha messo radici così forti e resistenti a ogni critica? Perché è in sintonia con la visione del mondo liberal-progressista che vede l’uomo come unico arbitro e artefice del suo destino, oltre che un affare in termini economici.

Per comprendere la posizione dell’avversario bisogna partire dall’evoluzionismo Darwiniano. Per i progressisti l’evoluzionismo darwiniano è alla base della nuova religione della modernità. Secondo la teoria Darwiniana la vita sarebbe sorta come organismo unicellulare che si sarebbe andato evolvendo, nel corso di milioni di anni, nelle varie specie animali e vegetali che popolano la terra: la cosiddetta Macroevoluzione.

Se l’evoluzionismo darwiniano è un fatto reale e se la specie umana è inserita in un continuum evolutivo per meglio adattarsi all’ambiente ne consegue che, con le attuali conoscenze scientifiche e il progresso tecnologico, l’uomo sarebbe in grado di dirigere in autonomia il processo evolutivo nel modo ritenuto più utile all’individuo e alla società. Il compito spetta alla Politica pressata dalle esigenze dell’Economia e della Finanza. Il futuro radioso della modernità poggia le sua fondamenta sulle sabbie mobili della menzogna nascosta dietro una piccola verità. La Microevoluzione all’interno della specie è un dato di fatto che nessuno si sogna di contraddire. La Macroevoluzione Darwiniana è un mito che serve a far avanzare l’agenda progressista sotto l’egida di una falsa scienza.

Noi siamo testimoni della devastazione di una civiltà plurimillenaria costruita sul Principio di Realtà oggettiva e al suo posto vediamo sorgere una organizzazione artificiale ed utopica della Società attraverso un’operazione di ingegneria sociale che ha come obiettivo ultimo trasformare il dono della vita in un prodotto da commercializzare.

Siamo in presenza di due visioni del mondo tra loro inconciliabili: una si fonda sui dati di Realtà, studia la natura e cerca di carpirne i segreti. Il Progresso è inteso in armonia con le leggi naturali. L’altra si fonda sull’Utopia, vuole ricostruire il mondo secondo i suoi desideri anche contro le leggi di natura.

Nel 2006, ventinove “esperti” hanno stilato i Principi di Yogyakarta che dettavano le regole per il mondo intero: «L’applicazione della Legge Internazionale sui diritti umani in relazione all’orientamento sessuale e all’identità di genere». Una guida universale ai nuovi diritti umani. I Principi sanciscono la scomparsa, ope legis, dell’Anatomia, della Fisiologia, della Genetica, in una parola la scomparsa della variabile Natura e dunque la loro deriva antiscientifica.

Il 17 Maggio 2006 Il Consiglio d’Europa adotta la Decisione n. 771/2006/CE che indice il 2007 come l’Anno delle Pari Opportunità per tutti. Obiettivi specifici da raggiungere:

-Sensibilizzare l’opinione pubblica nei confronti del diritto all’uguaglianza e alla non discriminazione.

  • Suscitare un dibattito sugli strumenti necessari per potenziare la partecipazione alla società.
  • Celebrare e facilitare la diversità.
  • Operare in favore di una società più solidale.

Il 31 marzo 2010 viene pubblicata una Raccomandazione CM/ Rec(2010)5 contro la Discriminazione basata su Orientamento Sessuale e Identità di Genere. Il 29 Aprile 2010 esce la Risoluzione 1728 che proibisce la Discriminazione in base all’Orientamento Sessuale e all’Identità di Genere.

E’ opportuno ricordare come anche la pedofilia sia un orientamento sessuale e pertanto non discriminabile in base alla risoluzione 1728 del 2010.

Il 2 Maggio 2018 è presentata la proposta di Legge 569 Zan et al: «I fatti di cronaca denunciati da numerosi quotidiani nazionali e locali hanno segnalato l’esponenziale aumento nel numero e nella gravità di atti di violenza nei confronti delle persone omosessuali e transessuali…. Abbiamo assistito a una vera e propria escalation dei crimini d’odio legati all’orientamento sessuale e all’identità di genere».

L’omofobia rappresenta una tattica difensiva del mondo LGBT nei confronti di chiunque osi affermare che il comportamento omosessuale non rappresenta un vantaggio né per l’individuo né per la società. Mentre la transfobia è una tattica difensiva che vuole silenziare chi ritiene che siano ancora vigenti le leggi della biologia con l’odiosa divisione in maschi e femmine e che il responsabile di questo crimine sia il cromosoma Y. A questo punto giova ricordare quanto ebbe modo di dire Bertand Russel nel suo testo “The Impact of Science on Society” del 1951: «L’educazione è fondamentale, gli psicologi sociali del futuro avranno delle classi di bambini su cui attueranno diversi metodi per produrre in loro il convincimento incrollabile che la neve sia nera». Anche in questo caso esiste una piccola dose di verità infatti la neve può diventare nera a patto di essere stata calpestata e infangata.

Dott.ssa Dina Nerozzi

Ecco a cosa mira il “Gender”

Quali motivazioni dietro a questo nuovo fenomeno culturale?

Attraverso questo articolo si cerca di fornire al lettore le motivazioni profonde di un fenomeno molto dibattuto, ma poco conosciuto nelle sue vere finalità: conoscere le finalità di un processo culturale è conoscerne anche la sua natura e la sua causa.

genderPadre Giorgio Carbone, docente di bioetica alla Facoltà teologica di Bologna, unisce in sé il radicamento nella profonda dottrina tomista, cosa tipica per un domenicano (almeno una volta…) con una partecipata attenzione critica alle vicende dell’attualità. Da tempo collabora con blog e riviste offrendo spunti sempre interessanti e originali sulle più pressanti questioni etiche e antropologiche, trattate con il bisturi dello specialista in teologia morale, ma anche con la pastoralità dell’uomo di Dio. Dopo vari libri sulle tematiche spinose e spesso incomprese della contraccezione, della fecondazione artificiale e dell’aborto, il teologo domenicano ci offre ora un saggio di sintesi sulla più pericolosa e meno scientifica delle ideologie contemporanee (G. Carbone, Gender. L’anello mancante?, ESD, Bologna 2015, pp. 154, € 14). In dieci rapidi capitoletti viene ripercorsa tutta la magmatica filosofia del gender, dalle origini ad oggi, soffermandosi sulle conseguenze sociali ed educative, prima ancora che giuridiche e morali, di una regressione tanto nefasta quanto insopportabile. Nell’introduzione padre Carbone avverte il lettore su un fatto di non minima importanza. L’obiettività delle analisi che ha condotto per anni, così come le diagnosi proposte in conclusione (cf. pp. 132-142), non cancellano la cristiana carità, la quale sintetizza “solidarietà, misericordia e aiuto concreto” verso ogni persona come tale, non per le virtù o i pregi che eventualmente la connotano, ma “per il semplice fatto che (…) esiste” (p. 10). Ciò detto, è proprio per l’amore degli uomini e dell’umanità intera, non esclusi gli omosessuali, i bisessuali e i transessuali, che bisogna non arrendersi a delle teorie sbagliate e ingannatrici, in particolare quando queste hanno la potenzialità di distruggere la famiglia e con essa l’educazione dei bambini e la pace. Le origini remote della teoria del gender vengono fatte risalire a John Money, che effettivamente fu tra i primissimi psicologi a proporre la distinzione tra il sesso, come “ciò che attiene agli organi genitali e alle loro funzioni”, e il genere che invece sarebbe “ciò che ha a che fare con le differenze comportamentali e psicologiche” (p. 17). Il più noto esperimento di Money fu quello attuato su Bruce Reimer (1965-2004), evirato a due anni col consenso dei genitori e cresciuto come una bambina… Su questa orribile violenza compiuta in nome della scienza un giornalista americano ha fatto pienamente luce (cf. J. Colapinto, Bruce, Brenda e David. Il ragazzo che fu cresciuto come una ragazza, San Paolo, 2014). Tale esperimento di ingegneria psico-sessuale si concluse dolorosamente con il suicidio di Bruce, dopo il suo rifiuto della femminilità imposta dai genitori e dal medico (Frankenstein) Money. Già qui il gender e la “asessualità spirituale” dell’essere umano avrebbero dovuto arrestarsi. E invece no. Molto interessanti poi le pagine che padre Giorgio dedica al contributo del femminismo, specie radicale, alla teoria del gender. E’ arcinota la frase cult della profetessa femminista Simone de Bouvoir: “Donna non si nasce, lo si diventa. Nessun destino biologico, psichico, economico definisce l’aspetto che riveste in seno alla società la femmina dell’uomo; è l’insieme della storia e della civiltà a elaborare quel prodotto intermedio tra il maschio e il castrato che chiamiamo donna” (cit. a p. 27). Difficile però accumulare in poche righe tante scemenze! Se infatti furono la storia e la civiltà ad inventare il ruolo della donna (e non la biologia, la natura e la Provvidenza), come mai visto che l’umanità è equamente ripartita tra maschi e femmine, sarebbe stato l’uomo ad aver imposto alla donna il suo ruolo e mai il contrario? L’unica risposta è che la donna sarebbe inferiore nella capacità di dominare e assoggettare l’altro. E questo spinge a dirlo proprio la caporiona arrabbiata del femminismo! No, i ruoli ci sono ed esistono, sempre e ovunque. Adamo per fortuna non è in tutto uguale ad Eva. Né lei a lui. La stessa Bibbia parla di un aiuto che è “simile” ad Adamo, non uguale (Gen 2,18). E i Padri della Chiesa si esprimono così: “La donna non fu tratta dalla testa di Adamo affinché non si credesse superiore, né fu tratta dai piedi affinché non fosse tenuta come serva o schiava. Ma fu formata dalla costola affinché fosse ritenuta come compagna di vita” (secondo il commento di p. Marco Sales). Complementarità, collaborazione, attrazione reciproca, differenze attitudinali, istinto di procreazione, matrimonio, famiglia… civiltà! E’ questo splendido e armonico paesaggio umano, disegnato e calibrato al millimetro dal più grande dei Pittori che si vuole sostituire con le teorie nullificanti e negazioniste del gender. Così la degna erede della Beauvoir, la Firestone scriveva che “il fine ultimo della rivoluzione femminista non consiste nell’eliminazione dei privilegi, ma nella stessa cancellazione delle distinzioni tra sessi (…). Il tabù dell’incesto oggi serve solo a preservare la famiglia. Se ci sbarazzassimo della famiglia ci sbarazzeremmo anche delle repressioni (…). I tabù sessuali adulto/bambino e omosessualità sparirebbero” (cit. a p. 29). E non si può che darle ragione: la fine della famiglia, desiderata dagli ideologi del gender, sarebbe altresì la fine di molti tabù e l’apertura ad ogni perversione, ad ogni violenza, ad ogni mostruosità. Di questo si tratta signori lettori, e non di una mera filastrocca, tipo Emma e le sue due mamme…
Le stesse agenzie Onu e tutte le lobby al servizio del potere credono davvero che, per istituire una società migliore e più equa, “il femminile e il maschile sono categorie o da cambiare o da abbattere” (p. 33). Sarebbe come voler abolire la moneta per creare l’eguaglianza economica tra i cittadini! Ancora nel 2013 un certo J. W. Scott, citato da padre Carbone, scriveva che “il ricorso alla biologia rende più difficili gli appelli all’eguaglianza” (p. 32): e questo dimostra che di teorie anti-biologiche e anti-scientifiche si tratta.
In questo quadro è piccante ricordare che proprio gli psicologi e psicanalisti contemporanei, forse più degli autori classici, hanno definito l’omosessualità come “aberrazione sessuale” (Freud), “complesso di inferiorità” (Adler), “infantilismo psichico” (Stekel), “auto-commiserazione” (Arndt), “idolizzazione” (Hatterer), etc. Addirittura per Freud l’omosessualità maschile avrebbe come concausa il “disprezzo della donna fino all’orrore” (p. 59), e così gli unici veri maschilisti sarebbero i gay! Andando nel profondo poi il gender contiene un assalto implicito contro il concetto di natura e la sua immutabilità, e perfino contro il concetto di ens, o essere, metafisicamente fondato. “Ciò che è esiste, ciò che non è non esiste”: la base del pensiero e del ragionamento per le agenzie del gender implicherebbe omofobia, violenza, intolleranza e razzismo. Così le stesse categorie progressiste LGBT sono andate aumentando aggiungendo via via nuove lettere per nuovi generi. Ma non può bastare mai: infatti gli autori pro gender parlano di “fluidità” come “capacità di diventare in modo cosciente e libero uno degli infiniti numeri di genere (…). La fluidità di genere non conosce limiti o regole” (p. 38). E’ il limite che fa paura, rifiutando quindi l’umanità come Dio l’ha fatta ed è la regola, ogni regola, che viene vista come ingiustizia e sopruso. Magari domani diranno che criticare l’incesto è bigottismo e moralismo! In conclusione la visione antropologica secondo il gender è definita dal teologo come “riduttiva, dannosa, utopica e caotica” (p. 134). Il suo lascito alla cultura umana sta nell’aumento certo delle tensioni sociali, delle diatribe scolastiche, della confusione psicologica dei bambini, della lotta di classe combattuta stavolta tra sessi e (infiniti) orientamenti sessuali. Insomma in una spinta di micidiale potenza contro la famiglia, la religione e la civiltà.

Giorgio Maria Carbone
Docente di Bioetica alla Facoltà teologica di Bologna

(tratto dal quotidiano La Croce, 30 maggio 2015)

Rincorrendo l’utopia dell’uguaglianza

Negli ultimi decenni del XX secolo nei Paesi occidentali abbiamo assistito a una rivoluzione concettuale fondata su manipolazioni del linguaggio, cioè la sostituzione del concetto di differenza sessuale con il termine indeterminato gender. In sostanza, alcuni intellettuali e politici hanno cercato di rendere concreta e condivisa l’affermazione del famoso libro di Simone de Beauvoir Il secondo sesso: «Donne non si nasce, ma si diventa». Le ragioni che hanno permesso e favorito il sorgere di questa nuova ideologia sono molte, e di diversa natura. Da una parte, la caduta del muro di Berlino, a cui è pochi anni dopo seguita la grave recessione economica mondiale, hanno messo in crisi tutti gli apparati ideologici che avevano intessuto la via politica: crollano infatti tutti i tipi di ideologia comunista e socialista, e poi anche il liberalismo capitalista. In questo vuoto, la caccia a nuovi valori con cui giustificare le scelte politiche ha portato a una sorta di divinizzazione dei Diritti umani, che da obiettivo che le società si dovevano porre sono diventati i valori guida indiscutibili, anche se spesso manipolati, subendo un ampliamento e una trasformazione. L’utopia dell’uguaglianza, che aveva animato la lotta politica dell’Ottocento e del Novecento, rinasce in settori prima marginali, come il femminismo, che   diventa così una forma ideologica centrale, capace di riempire il vuoto lasciato dal fallimento delle ideologie comuniste. Per rafforzarsi, il femminismo doveva costituirsi come ideologia utopica che si richiamava all’utopia dell’uguaglianza, e doveva avere una conferma «scientifica», così come il comunismo di Marx, che si era autodichiarato «socialismo scientifico». La teoria del gender è un’ideologia a sfondo utopistico basata sull’idea, già propria delle ideologie socio-comuniste e fallita miseramente, che l’eguaglianza costituisca la via maestra verso la realizzazione della felicità. Negare che l’umanità è divisa tra maschi e femmine è sembrato un modo per garantire la più totale e assoluta eguaglianza – e quindi possibilità di felicità – a tutti gli esseri umani. Nel caso della teoria del gender, all’aspetto negativo costituita dalla negazione della differenza sessuale, si accompagna un aspetto positivo: la totale libertà di scelta individuale, mito fondante della società moderna, che può arrivare anche a cancellare quello che veniva considerato, fino a poco tempo fa, come un dato di costrizione naturale ineludibile. La teoria del gender comprende quindi un aspetto politico (la realizzazione dell’uguaglianza e la possibilità senza limiti di scelta individuale), un aspetto storico-sociale (la giustificazione a posteriori della fine del ruolo femminile nelle società occidentale) e un aspetto filosofico-antropologico più generale, cioè la definizione di essere umano e il rapporto fra questo e la natura. L’ideologia del gender è dunque una delle tante derive che ha preso l’utopia dell’uguaglianza. Scrive infatti Michael walzer: «Alla radice, il significato dell’uguaglianza è negativo», mira a eliminare non tutte le differenze ma un insieme particolare di differenze, «»che varia secondo l’epoca e il luogo. La trasformazione sociale in corso sta muovendosi verso la cancellazione di tutte le differenze – anche di quella, fondamentale in tutte le culture, fra donne e uomini – con un ritmo che si è fatto sempre più veloce dopo la diffusione degli anticoncezionali chimici, negli anni Sessanta. La separazione fra sessualità e riproduzione, infatti, ha permesso alle donne di adottare un comportamento sessuale di tipo maschile – che forse non si adatta alla natura femminile, e dunque probabilmente non contribuisce ad aumentare la felicità delle donne, anche se questo è un altro discorso – e quindi di svolgere dei ruoli maschili rimuovendo ogni ostacolo, è cioè abolendo anche la maternità. La separazione fra sessualità e procreazione ha provocato una separazione fra procreazione e matrimonio, e quindi anche fra sessualità matrimonio: possiamo cogliere qui le condizioni per l’affermarsi dei «diritti» al matrimonio e al figlio avanzati dai gruppi omosessuali, e strettamente collegati all’idea di gender, cioè alla negazione dell’identità sessuale «naturale». Come il filosofo francese Marcel Gauchet ha messo in luce, queste trasformazioni hanno profonde conseguenze sul piano sociale: se la sessualità smette di essere un problema collettivo collegato al prolungamento del gruppo umano nel tempo, e diventa un affare privato ed espressione della propria individualità, ne discende ovviamente una crisi dell’istituto famigliare e un cambiamento nello statuto dell’omosessualità. Mentre una volta, infatti, era la famiglia che produceva il figlio come ovvia conseguenza dell’attività sessuale dei coniugi, oggi sempre più spesso è il figlio desiderato che crea la famiglia. E può essere considerata famiglia quella di chiunque desideri un figlio. Circa cinquanta anni dopo che la de Beauvoir aveva scritto quella frase, la sua idea sembrava finalmente trionfare. Se le identità sessuali sono solo costruzioni culturali, è possibile decostruirle, ed è quello che si propongono di fare movimenti femminili e omosessuali. La chiave della rivoluzione del gender è il linguaggio, come si deduce da qualche ordinamento giuridico, dove solo cambiando qualche termine – «genitore» invece di «madre» e «padre», «parentalità» invece di «famiglia» – si è riusciti a cancellare nei documenti la famiglia naturale. Con un’altra operazione artificiosa si sostituiscono «sesso» con «sessualità» e «sessuato» con «sessuale», per confermare che non conta la realtà, ma solo l’orientamento del desiderio. Come però ricorda lo studioso Xavier Lacroix, rimane invece indispensabile «riconoscere l’apporto che il carnale da al simbolico e al relazionale»: capire cioè che l’ancoraggio fisico della paternità in un corpo maschile e della maternità in un corpo femminile costituisce un dato di fatto irriducibile e strutturante che deve essere recepito non solo come un limite, ma come una fonte di significato. Bisogna ammettere che al di là dello spermatozoo o dell’ovulo c’è qualcuno, mentre mentre il concetto di omoparentalità elimina qualunque leggibilità carnale dell’origine. I diversi sistemi di parentela che esistono al mondo hanno variamente articolato il fisico e il culturale, ma li hanno sempre articolati, perché la sfida centrale della famiglia consiste proprio nel tenere insieme coniugalità e parentela. Si tratta quindi di una vera e propria sfida antropologica al fondamento naturale non solo della nostra società ma di tutte le società umane, come dimostra la critica avviata dai teorici del gender (per esempio, dalla filosofia americana Judith Butler) a Lévi-Strauss e a Freud, colpevoli di avere fondato i loro sistemi di pensiero sulla differenza sessuale fra donne e uomini. E la demonizzazione di ogni tipo di differenza non solo si basa su una utopia di uguaglianza proposta come via maestra verso la felicità – un’utopia che senza dubbio ha le sue origini proprio in quella socialista che ha mostrato le sue disastrose realizzazioni nel secolo appena trascorso – ma in questo caso si arriva a un esisto estremo del pensiero decostruzionista, e cioè alla negazione dell’esistenza della natura stessa. Se ogni tipo di differenza, sancita da una definizione sociale, è letto come un sistema di potere, sulla scorta di Foucault, si può vedere in ogni superamento di paradigma un momento evolutivo di liberazione, secondo una nuova forma di darwinismo sociale. Le forme più diffuse e più facilmente visibili di relazioni affettive e sessuali sono così considerate come quelle evolute, che quindi devono imporsi, mentre l’«eterocentrismo» viene considerato un momento della storia dello sviluppo umano ormai non più adatto e da superare. L’ideologia del gender è stata recepita con entusiasmo soprattutto dalle organizzazioni internazionali, perché corrisponde alla politica di allargamento dei diritti individuali che è considerata il fondamento della libertà democratica: il problema del genere è stato al centro della battaglia politica nelle conferenze Onu del Cairo e di Pechino. È una storia poco conosciuta, cioè come – per esprimersi con le parole dell’Istituto di ricerca per l’avanzamento delle donne (Instraw) – «adottare una prospettiva di genere significa (…) distinguere tra quello che è naturale e biologico da quello che è costruito socialmente e culturalmente, e nel processo rinegoziare tra il naturale – e la sua relativa flessibilità – e il sociale, e la sua relativa modificabilità». In sostanza, significa negare che le diversità fra donne e uomini siano naturali, e sostenere invece che sono costruite culturalmente, e quindi possono essere modificate a seconda del desiderio individuale. L’adozione di una «prospettiva di genere» è stata la linea ideologica adottata con forza da alcune delle principale agenzie dell’Onu e dalle Ong che si occupano di controllo demografico, con il sostegno della maggior parte delle femministe dei Paesi occidentali, ma con l’opposizione dei molti gruppi nati a difesa della maternità e della famiglia. Da qui il termine gender (che è più elegante e neutro di «sesso») non sole è entrato nel nostro linguaggio, ma è usato addirittura nella denominazione di un filone di ricerca accademica – i Gender Studies – spesso però nell’inconsapevolezza del suo rivoluzionario significato ideologico-culturale. Eppure, come gli studi scientifici hanno dimostrato e continuano a dimostrare, parlare di identità maschile e di identità femminile ha senso innanzitutto proprio dal punto di vista biologico, oltre infondata la teoria del gender sottintende una visione politica estremamente pericolosa, facendo credere che la differenza sia sinonimo di discriminazione. Eppure, il principio di uguaglianza non richiede affatto di fingere che tutti siano uguali: solo nella misura in cui l’esistenza della differenza venga effettivamente riconosciuta e considerata, si potrà realmente dare a tutti, allo stesso modo e in pari grado, piena dignità e uguali diritti. Nulla di nuovo, sia chiaro: e da tempo che il diritto e la filosofia vanno ribadendo che l’autentico significato del principio di uguaglianza risieda non nel disconoscere le caratteristiche individuali, fingendo un’omogeneità che non esiste, ma, al contrario, stia proprio nel dare a tutti le stesse opportunità. Il laico Norberto Bobbio affermava che gli uomini non nascono uguali: è compito dello Stato metterli in condizione di divenirlo. Come ribadiscono, tra gli altri, la Chiesa cattolica e parte del femminismo, la vera uguaglianza si verifica non solo quando soggetti uguali vengono trattati in modo uguale, ma anche quando soggetti diversi vengono trattati in modo uguale. La parità tra i sessi non si ottiene certo facendo entrare le donne in una categoria astratta di individuo (categoria che, tra l’altro, non esiste, essendo tarata sul modello maschile), ma si aggiunge partendo dal presupposto che la società è composta da cittadini e da cittadine. Una critica radicale dell’ideologia del gender intesa come teoria dell’uguaglianza si è sviluppata infatti all’interno del femminismo: da una parte, nel femminismo americano si è incominciato a individuare una diversa etica, maschile e femminile. Ma da altre intellettuali femministe l’esistenza di una differenza femminile viene negata, anche quando questa differenza è proposta in senso positivo, come moralità superiore fondata sull’etica della cura, in contrapposizione alla differenza maschile della giustizia e dei diritti, come ha sostenuto la filosofa Carol Gilligan. Questa tesi, infatti, è stata sottoposta a una critica serrata da un’altra filosofa, Joan Tronto, che considera la predisposizione alla cura solo come una costruzione culturale. Traspare da questa disputa l’ansia di alcune femministe che, nel tentativo di porre fine alla condizione marginale delle donne nella società, preferiscono rinnegare la differenza femminile in cambio di una «neutralità» che sembra loro più rassicurante. Dimenticando – come scrive Sylvane Agacinscki – che «ciò che fonda la parità è l’universale dualità del genere umano», cioè proprio il porre «la differenza sessuale come differenza universale». Questa linea critica è stata approfondita da Eva Kittay (la cura dell’amore, Vita e Pensiero, 2010). l’autrice parte da una delle domande chiave del femminismo: come mai le donne, anche quando hanno ottenuto uguali diritti, non ottengono una uguaglianza di fatto nella società? Perché l’uguaglianza si è dimostrata così irraggiungibile per le donne? Kittay risponde dicendo che l’uguaglianza è possibile solo per le donne che non hanno responsabilità di cura, e forse non è il tipo di uguaglianza che le donne desiderano. Secondo Kittay si può delineare una critica dell’ideale di uguaglianza che chiama «critica della dipendenza». Tale critica della dipendenza è una critica femminista dell’uguaglianza e sostiene che la concezione della società vista come associazione di eguali maschera o occulta ingiuste dipendenze, legate all’infanzia, alla vecchiaia,alla malattia e alla disabilità. È necessario quindi cercare di chiarire un’idea di uguaglianza tanto radicale da abbracciare la dipendenza, perché nessuna cultura estesa oltre una generazione può considerarsi al sicuro dalle esigenze della dipendenza. La Kittay afferma quindi che l’uguaglianza sarà sempre formale, o addirittura vacua, finché la prospettiva della differenza non sarà riconosciuta e incorporata nel tessuto della teoria e della pratica politica, anche se è ben consapevole della difficoltà di questo, perché l’incontro con la dipendenza è raramente ben accolto tra loro che si nutrono di libertà ideologica, di autosufficienza e di uguaglianza. Con la creazione delle utopie di uguaglianza e di autonomia individuale, abbiamo costruito delle finzioni che ci danneggiano, perché fondate su un ideale che presuppone indipendenza, ben lontano dalla realtà. Le donne sanno ormai, sostiene Kittay, che la neutralità di genere non farà che perpetuare quelle differenze che sono già in gioco. Se, d’altra parte, mettiamo in evidenza la differenza, corriamo il rischio di ridurre le donne a mere vittime. È nota la posizione della Chiesa rispetto a questo tema, ben chiarita dalla Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica sulla collaborazione dell’Uomo e della Donna nella Chiesa e nel mondo dell’allora cardinale Ratzinger. È interessante però ritrovare elementi di questa polemica contro il gender anche in molte femministe laiche, che contribuiscono alla creazione di una opinione pubblica critica nei confronti dell’introduzione di questo termine nei testi pubblici e delle leggi che ne derivano. Ci sono inoltre delle contraddizioni interne alla società contemporanea che rendono difficili una vera applicazione della teoria del gender, contro cui si scontrano anche gli organismi internazionali. Come segnala Giulia Galeotti (Gender Genere, Viverein, 2010), infatti, i nodi irrisolti sono almeno tre: in primo luogo oggi si assiste a un incremento di femminilità e mascolinità nelle donne e negli uomini occidentali, anche nel vestire prevalgono di meno i soggetti indistinti; in secondo luogo la scarsa presenza in Parlamento. La volontà di dividere il potere fra uomini e donne può essere legittima solo se si ammette che il sesso non è un tratto sociale ma un tratto differenziato universale; infine la questione dell’aborto, in cui le legislazioni stabiliscono che solo la donna decide. Ma se è così, allora le donne esistono!

 

 (tratto da L’Osservatore Romano, giovedì 10 febbraio 2011)