Rendere giustizia di fronte a Dio del compito affidatoci per l’uomo

di Sua Santità Benedetto XVI

Con la legalizzazione in sedici Stati europei del “matrimonio omosessuale”, il tema matrimonio e famiglia ha assunto una nuova dimensione che non si può certo ignorare. Si assiste a una deformazione della coscienza che evidentemente è penetrata profondamente in settori del popolo cattolico. A questo non si può rispondere con qualche piccolo moralismo e nemmeno con qualche rimando esegetico. Il problema va in profondità e dunque deve essere affrontato in termini di fondo.
Innanzitutto mi sembra importante osservare che il concetto di “matrimonio omosessuale” è in contraddizione con tutte le culture dell’umanità che si sono succedute sino a oggi, e significa dunque una rivoluzione culturale che si contrappone a tutta la tradizione dell’umanità sino a oggi. Non c’è dubbio che la concezione giuridica e morale del matrimonio e della famiglia differisce straordinariamente nelle culture del mondo. È possibile constatare non solo la differenza fra monogamia e poligamia, ma anche altre profonde differenze. E tuttavia mai è stata messa in dubbio la comunità basilare, il fatto che l’esistenza dell’uomo – nel modo di maschio e femmina – è ordinata alla procreazione, nonché il fatto che la comunità di maschio e femmina e l’apertura alla trasmissione della vita determinano l’essenza di quello che è chiamato matrimonio. La certezza di fondo per cui l’uomo esiste come maschio e femmina; che la trasmissione della vita è un compito assegnato all’uomo; che proprio la comunità di maschio e femmina serva questo compito; e che in questo, al di là di tutte le differenze, consista essenzialmente il matrimonio – è una certezza originaria che sino a oggi è stata ovvia per l’umanità.
Un fondamentale sconvolgimento di questa certezza umana originaria è stato introdotto quando, con la pillola, è divenuta possibile in termini di principio la separazione tra fecondità e sessualità. Qui non si tratta di casistica, del se e del quando, eventualmente, l’uso della pillola possa essere moralmente giustificato, bensì della novità fondamentale che essa come tale significa: vale a dire proprio la separazione in termini di principio tra sessualità e fecondità. Questa separazione significa, infatti, che in questo modo tutte le forme di sessualità sono equiparate. Non esiste più alcun criterio di fondo. Questo nuovo messaggio, contenuto nell’invenzione della pillola, ha profondamente trasformato la coscienza degli uomini, all’inizio lentamente, poi sempre più chiaramente.
Ne consegue un secondo passo: innanzitutto, se la sessualità viene separata dalla fecondità, allora, all’inverso, la fecondità può naturalmente essere pensata anche senza la sessualità. Sembrerà giusto, allora, non affidare più la procreazione dell’uomo alla occasionale passione del corpo, bensì pianificare e produrre l’uomo razionalmente. Questo processo, per cui gli uomini non vengono più generati e concepiti ma fatti, è nel frattempo in pieno svolgimento. Questo tuttavia significa allora che l’uomo non è più un dono ricevuto, ma un prodotto pianificato del nostro fare. D’altra parte, quello che si può fare lo si può anche distruggere. In questo senso, la crescente tendenza al suicidio come fine pianificata della propria vita è parte integrante del trend descritto.
In questo modo, però, è evidente che, rispetto alla questione del “matrimonio omosessuale”, non si tratta di essere un tantino più larghi e aperti. Si pone piuttosto la domanda di fondo: chi è l’uomo? E con essa anche la domanda se ci sia un Creatore o se non siamo tutti solo prodotti di un fare. Sorge questa alternativa: o l’uomo è creatura di Dio, è immagine di Dio, è dono di Dio, oppure l’uomo è un prodotto che egli stesso sa creare. Quando si rinuncia all’idea della creazione, si rinuncia alla grandezza dell’uomo, si rinuncia alla sua indisponibilità e alla sua dignità che è al di sopra di ogni pianificazione.
Si può esprimere tutto questo anche da un’altra prospettiva. Il movimento ecologico ha scoperto il limite di quello che si può fare e ha riconosciuto che la “natura” stabilisce per noi una misura che non possiamo impunemente ignorare. Purtroppo non si è ancora concretizzata “l’ecologia dell’uomo”. Anche l’uomo possiede una “natura” che gli è stata data, e il violentarla o il negarla conduce all’autodistruzione. Proprio di questo si tratta anche nel caso della creazione dell’uomo come maschio e femmina, che viene ignorata nel postulato del “matrimonio omosessuale”.
Mi sembra che sia importante riflettere sulla questione secondo quest’ordine di grandezza. Solo così renderemo giustizia di fronte a Dio del compito affidatoci per l’uomo.

Tratto da: “La vera Europa – identità e missione”, di Joseph Ratzinger – Benedetto XVI

“Il padre l’assente inaccettabile” – Incontro con Claudio Risè

“Il padre l’assente inaccettabile”

Incontro con Claudio Risè
(psicoanalista che vive ed opera a Bolzano)
Sala Duomo (Carpi) 12 Maggio 2004

Nella società e nella cultura occidentale è ormai un dato di fatto affermare, che da tre generazioni, che i nostri figli non percepiscono più la presenza del padre. Ci troviamo, quindi, in un contesto storico sociale dove a causa di questa assenza del padre i giovani sono smarriti e vivono un profondo malessere interiore, che li porta ad essere persone meno libere di affermare la loro identità di uomini adulti, capaci di assumersi le loro responsabilità.
L’assenza del padre è venuta meno nel corso di un evoluzione storico sociale , che ha avuto il suo inizio con la rivoluzione industriale. Con essa è iniziato un processo di radicale cambiamento nel modello familiare fondato sulla figura del padre patriarcale, spostandoci sempre di più su un modello di famiglia dove il ruolo della madre diventava sempre più centrale e totalizzante.
Questo nuovo modello di famiglia matriarcale si è successivamente affermato con la prima e la seconda guerra mondiale, che ha lasciato orfani di padre migliaia di bambini. Infine si è legittimato in tutti gli Stati Europei con la nascita della legge sul divorzio, che ha definitivamente inciso e corroso il tradizionale modello di famiglia strutturato sulla figura paterna.
Dentro questo nuovo contesto sociale la figura del padre è stata prima espulsa come creatore, cioè colui che per primo dà ai figli la spinta al distacco, affinché a loro volta possono ripercorrere una nuova via che li condurrà al rinnovarsi e al ricrearsi di una nuova vita umana.
La figura del padre è stata poi messa alla porta anche come testimone della ferita
primogenita che ogni uomo porta dentro di sé. Infatti padre è colui che per primo di ogni altro dovrebbe insegnare al figlio l’esperienza della perdita, del dolore non come qualcosa di irreparabile che segnerà per sempre in modo negativo la sua vita, ma come esperienza strutturante, che fa parte di un normale travaglio interiore, che lo aiuta a crescere nella sua personalità e a diventare un uomo.
Il figlio che vive l’esperienza della perdita coma qualcosa di inaccettabile, non svilupperà una personalità adulta, responsabile ed autonoma, ma svilupperà una forma di dipendenza: alcol, droga, sesso, disturbo alimentare ecc.
La prima ed importante ferita che un padre infligge al figlio è quella di separarlo dal rapporto simbiotico che ha con la madre. Nessun rapporto fusionale come quello fra madre e figlio può sciogliersi in modo maturale. Occorre un intervento esterno che deve essere posto in essere dall’azione del padre. L’atto della separazione non può essere compiuto dalla madre, perché il ruolo naturale che essa svolge è quello dell’accoglienza, del perdono, del soddisfare i bisogni del figlio. Non si può chiedere alla madre di fare un mestiere che non è il suo, quindi non può compiere il gesto della separazione. I figli devono avere davanti a sé la figura di un padre presente che è primario nella loro crescita, altrimenti non sono capaci di riconoscere le loro origini e di conseguenza non sono in grado di andare da nessuna parte. Il sentire di non avere radici e di non appartenere a nessuno produce dentro i nostri figli il vuoto esistenziale. Padre è colui che mette in moto un processo generativo sia dal punto di vista pratico che spirituale.
Il padre deve essere vissuto come rifugio, come colui nel quale riconosco le mie origini,
perché è la prima ed essenziale figura di appartenenza, nella quale il figlio deve identificarsi. Nella società moderna sia il ruolo dinamico, che il padre deve rappresentare per iniziare il figlio alla vita adulta, sia il ruolo protettivo sono quasi del tutto scomparsi. La funzione dinamica dell’essere padre si è persa , perché l’adolescenza sembra non finire mai, la funzione protettiva è stata del tutto assorbita dalla figura materna. L’esperienza di essere padre non viene più fatta e quindi non c’è più neanche la roccia su cui affondare le proprie radici e la propria identità. E’ stato statisticamente provato che la patologia clinico psicologica più presente nella società occidentale è la nevrosi ossessiva.
Patologia che come sappiamo ci porta ad organizzare la nostra vita in modo totalmente difensivo, per proteggerci dall’atro come possibile fonte di sofferenza e di dolore che non siamo in grado di sopportare. Questa fragilità strutturale interiore causata dall’assenza del padre, anche se non è dimostrata la connessione causa effetto, dal punto di vista fenomenologico ci induce a pensare che i figli senza padre vanno incontro ad un rischio molto più elevato di vivere un’esistenza di infelicità e di sviluppare una dipendenza. La dipendenza limita la libertà dell’uomo. Dipendenza vuol dire perdersi nella materia.
Dalla dipendenza o dalla malattia mentale si può uscire sperimentando un cammino di vita comunitaria che ci faccia riscoprire il fascino e la bellezza di una dimensione spirituale o quando all’interno di un percorso terapeutico riabilitativo la persona fa un’esperienza di riscoperta e affermazione del suo io, altrimenti e soltanto adattamento.
Spesso si rimane nella dipendenza per tutta la vita, perché non c’è una figura paterna che ci separa dalla madre. Un figlio che accetta la volontà del padre sperimenta una condizione di vita attiva, di autonomia e di libertà, al contrario di ciò che spesso siamo erroneamente portati a pensare. Oggi accade spesso che un padre non riesce ad essere padre, perché non ha fatto l’esperienza di essere figlio. Non è possibile trasmettere ad un altro qualcosa che non è stato vissuto come esperienza in prima persona. Gli uomini oggi stanno cercando una nuova identità. Infatti, in relazione alla mia esperienza di psicoterapeuta, posso affermare che una volta gli uomini andavano in psicanalisi per elaborare la sofferenza della separazione, del divorzio o semplicemente perché glielo diceva la moglie, oggi ci vanno per ritrovare la loro identità perduta.
Un padre per essere vero deve essere strutturante per la personalità del figlio. Nel rapporto padre e figlio è fondamentale l’esperienza della libertà che nasce come proposta educativa concreta nel percepire e trasmettere una corretta visione del mondo. Un padre non può sapere a priori se la proposta che fa a suo figlio è giusta, ma nell’atto della proposta costituisce uno spazio di libertà al dialogo, al confronto, all’essere presente e non assente. Anche la possibilità che il figlio non accetti la proposta va bene, perché si sviluppa una distanza dove può nascere la sua libertà.
Un padre che impone la regola vuol dire che ama suo figlio e che è presente; se il figlio tende a ribellarsi alla norma va bene lo stesso, perché anche in questo caso si crea un rapporto di contrasto che produce separazione e che fa sorgere la sua libertà. I nemici del padre sono tutti coloro che minimizzano e che ci rassicurano sul fatto che non c’è nulla di male in tutto ciò che sta accadendo. I nemici del padre sono coloro che sostengono l’idea che il divorzio non fa male ai figli.

“La Chiesa è forse diventata inutile per la società ?”

“La Chiesa è forse diventata inutile per la società ?”, si chiede il cardinale Sarah.

 Meditazione da SER Cardinal Sarah per Le Figarò, dal titolo Robert Sarah: «L’épidémie du Covid-19 ramène l’Église à sa responsabilité première: la foi»

La Chiesa ha ancora un posto in un’epidemia nel 21 ° secolo? A differenza di secoli fa, la maggior parte delle cure mediche è ora fornita dallo stato e dal personale sanitario. La modernità ha i suoi eroi secolarizzati in camice bianco e sono ammirevoli. Non ha più bisogno di battaglioni di beneficenza di cristiani per prendersi cura dei malati e seppellire i morti. La Chiesa è diventata inutile per la società?

Il virus Covid-19 riporta i cristiani alle origini. In effetti, la Chiesa è da tempo entrata in una relazione distorta con il mondo. Di fronte a una società che affermava di non averne bisogno, i cristiani, attraverso la pedagogia, cercavano di dimostrare che potevano esservi utili. La Chiesa si è dimostrata educatrice, madre dei poveri, “esperta di umanità” nelle parole di Paolo VI. Aveva ragione a farlo. Ma a poco a poco i cristiani finirono per dimenticare il motivo di questa competenza. Hanno finito per dimenticare che se la Chiesa può aiutare l’uomo ad essere più umano, alla fine è perché ha ricevuto da Dio le parole della vita eterna.

La Chiesa è impegnata nella lotta per un mondo migliore. Ha giustamente sostenuto l’ecologia, la pace, il dialogo, la solidarietà e l’equa distribuzione della ricchezza. Tutti questi combattimenti sono giusti. Ma potrebbero far dimenticare la parola di Gesù: “Il mio regno non è di questo mondo”. La Chiesa ha messaggi per questo mondo, ma solo perché ha le chiavi dell’altro mondo. I cristiani a volte hanno pensato alla Chiesa come aiuto dato da Dio all’umanità per migliorare la loro vita qui sulla terra. E non mancavano di argomenti poiché la fede nella vita eterna fa luce sul modo giusto di vivere in questo secolo.

Il virus Covid-19 ha esposto una malattia insidiosa che stava divorando la Chiesa: pensava di essere “di questo mondo”. Voleva sentirsi legittima ai suoi occhi e secondo i suoi criteri. Ma è emerso un fatto radicalmente nuovo. La modernità trionfante è crollata prima della morte. Questo virus ha rivelato che, nonostante le sue assicurazioni e la sua sicurezza, il mondo sottostante rimane paralizzato dalla paura della morte. Il mondo può risolvere le crisi sanitarie. Arriverà sicuramente alla fine della crisi economica. Ma non risolverà mai l’enigma della morte. La sola fede ha la risposta.

Illustriamo questo punto in modo molto concreto. In Francia, come in Italia, la questione delle case di riposo, il famoso Ehpad, era un punto cruciale. Perché? Perché la questione della morte è nata direttamente. I residenti anziani dovrebbero essere confinati nelle loro stanze a rischio di morire di disperazione e solitudine? Dovrebbero rimanere in contatto con le loro famiglie a rischio di morire di virus? Non sapevamo come rispondere.

Lo stato, immerso in un secolarismo che sceglie in linea di principio di ignorare la speranza e di restituire i culti al dominio privato, è stato condannato al silenzio. Per lui, l’unica soluzione era fuggire la morte fisica ad ogni costo, anche se ciò significava condannare la morte morale. La risposta potrebbe essere solo una risposta di fede: accompagnare gli anziani verso una probabile morte, con dignità e soprattutto con la speranza della vita eterna.

L’epidemia ha colpito le società occidentali nel punto più vulnerabile. Erano organizzati per negare la morte, nasconderla, ignorarla. È entrata dalla grande porta! Chi non ha visto questi giganteschi obitori a Bergamo o Madrid? Queste sono le immagini di una società che recentemente ha promesso un uomo aumentato e immortale.

Le promesse della tecnologia consentono di dimenticare la paura per un momento, ma finiscono per essere illusorie quando colpisce la morte. Perfino la filosofia dà solo un po’ di dignità a una ragione umana sommersa dall’assurdità della morte. Ma non è in grado di consolare i cuori e dare un significato a ciò che sembra esserne definitivamente privato.

Di fronte alla morte, non esiste una risposta umana che regga. Solo la speranza di una vita eterna può superare lo scandalo. Ma quale uomo oserà predicare la speranza? Ci vuole la parola rivelata di Dio per osare di credere in una vita senza fine. Hai bisogno di una parola di fede per osare di sperare in te stesso e nella tua famiglia. La Chiesa cattolica si rinnova quindi con la sua responsabilità primaria. Il mondo si aspetta da lei una parola di fede che le permetterà di superare il trauma di questo faccia a faccia con la morte che ha appena vissuto. Senza una chiara parola di fede e speranza, il mondo può sprofondare in una morbosa colpa o rabbia indifesa per l’assurdità della sua condizione. Solo questo può permettergli di dare un senso a queste morti di persone care, che sono morte in solitudine e sono state sepolte in fretta.

Ma poi la Chiesa deve cambiare. Deve smettere di avere paura di scioccare. Deve rinunciare a pensare a se stesso come a un’istituzione del mondo. Deve tornare alla sua unica ragion d’essere: la fede. La Chiesa è lì per annunciare che Gesù ha vinto la morte con la sua risurrezione. Questo è il cuore del suo messaggio: “Se Cristo non è stato risuscitato, la nostra predicazione è vana, la nostra fede è ingannevole e noi siamo il più miserabile di tutti gli uomini”. (1 Corinzi 15, 14-19). Tutto il resto è solo una conseguenza.

Le nostre società emergeranno indebolite da questa crisi. Avranno bisogno di psicologi per superare il trauma di non poter accompagnare gli anziani e i morenti nella loro tomba, ma avranno ancora più bisogno di sacerdoti che insegneranno loro a pregare e sperare. La crisi rivela che le nostre società, senza saperlo, soffrono profondamente di un male spirituale: non sanno dare senso alla sofferenza, alla finitudine e alla morte.

* Il cardinale Sarah è prefetto emerito della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti all’interno della Curia romana.

Dina Nerozzi al Senato contro il progetto di legge Zan

22 Luglio 2020 – 14:17
Dina Nerozzi

Riportiamo l’Audizione al Senato della prof.ssa Dina Nerozzi, medico, specialista in Neuropsichiatria ed Endocrinologia già titolare del Corso in Psiconeuroendocrinologia all’Università di Roma Tor Vergata, sulla proposta di legge n° 569 Zan et altri Relativa all’Orientamento sessuale e all’Identità di Genere.

La proposta di Legge n° 569 Zan et al. rappresenta solo l’ultima tappa della rivoluzione antropologica del Gender, che vuole eliminare le radici biologiche dell’essere umano per farne un semplice prodotto culturale manipolabile a piacimento. La legge prevede la censura e la detenzione per chi si rifiuta di allinearsi ai dettami del nuovo mondo politicamente corretto.

Per cercare di capire l’origine di un pensiero così rivoluzionario della realtà umana è necessario rifare il percorso culturale che ci ha portato all’attuale situazione.

Il 30 Luglio 1946 il presidente Truman firmava l’adesione degli USA all’UNESCO: «L’UNESCO chiamerà a collaborare alla causa della pace le forze dell’educazione, della scienza, dell’apprendimento, delle arti creative, delle agenzie cinematografiche, della radio e della carta stampata… al fine che gli uomini possano essere educati alla giustizia, alla libertà e alla pace. Per fare in modo che la pace sia durevole, l’educazione deve stabilire l’unità morale del genere umano».

Partiva il processo di globalizzazione culturale e il critico letterario newyorkese Lionel Trilling nel suo articolo The Kinsey Report pubblicato su Partisan Review nell’aprile 1948 ci aiuta a capire meglio la situazione e anche il significato reale della parola “democratico”. «Coloro che asseriscono a praticano le virtù democratiche prenderanno come assunto che, ad eccezione delle difficoltà economiche, tutti i fatti sociali devono essere accettati non solo a livello scientifico ma anche sociale. Non si dovranno esprimere giudizi su di loro e sarà considerata antidemocratica ogni conclusione tratta da coloro che recepiscono valori e conseguenze».

Questo avveniva sul versante “occidentale” mentre di quello che accadeva su quello orientale ci informa Gyorgy Lukacs, il filosofo ungherese della Scuola di Francoforte in: Marxismo e Politica Culturale del 1959: «Tutta la scienza e tutta la letteratura devono servire esclusivamente alle esigenze propagandistiche formulate dall’alto, dallo stesso Stalin… la comprensione ed elaborazione autonoma della realtà era bandita per sempre». Sia sul versante liberale che su quello comunista veniva messa in campo un’armata poderosa che doveva cancellare la realtà biologica dell’essere umano per ricreare un mondo nuovo pieno di pace e di armonia a patto che a dettare le regole fosse la politica. La questione non è la Verità, o la ricerca della verità, la questione sul tappeto è il Potere e con esso la capacità di definire la realtà delle cose.

Questo è il significato del politicamente corretto: non esiste una realtà che non possa essere manipolata dalla volontà dell’uomo ma è la politica che decide il vero e il falso, il bene e il male. Era il benservito alla morale giudaico-cristiana e l’avvento di una nuova era in cui a governare era l’uomo con la sua “scienza”.

Per costruire il nuovo mondo pieno di pace e di armonia è necessario dichiarare guerra:

  1. alle Religioni ancorate al passato e all’ordine naturale
  2. alle Tradizioni popolari perché sono legate ai credo religiosi
  3. alla Natura perché è solo un’invenzione dei populisti bigotti e di conseguenza all’Anatomia, alla Fisiologia, alla Genetica e dunque alle scienze biologiche.

Joseph De Maistre filosofo, giurista e politico (1753-1821) ci ricorda come: «Le false opinioni somigliano alle monete false: coniate da qualche malvivente e poi spese da persone oneste che perpetuano il crimine senza saperlo».

Alla fine degli anni 50 John Money inventa l’inganno del Gender: ruolo di genere socialmente indotto (John Locke e la tabula rasa), maschi e femmine non si nasce ma si diventa. Il termine gender deriva dal latino gignere, che significa generare, e l’unico ruolo di genere esistente in natura è quello per cui le femmine partoriscono e i maschi fecondano. Le donne possono fare le astronaute, le scienziate, possono guidare treni a camion ma non possono fecondare; allo stesso modo gli uomini possono cambiare i pannolini, cucinare, creare la moda ma non possono essere fecondati e partorire.

Sempre a John Money si deve la distinzione di Identità di Genere in contrasto con l’identità sessuale biologica (cogito ergo sum di Cartesio). Anche in questo caso l’identità di genere, cioè quella percepita nella mente, viene rapidamente contrastata non dai fanatici bigotti ma dalla genetica impressa in ogni singola cellula del corpo a ricordare che si può essere o maschi Y o femmine X.

Perché una ipotesi irrazionale priva di riscontri scientifici ha messo radici così forti e resistenti a ogni critica? Perché è in sintonia con la visione del mondo liberal-progressista che vede l’uomo come unico arbitro e artefice del suo destino, oltre che un affare in termini economici.

Per comprendere la posizione dell’avversario bisogna partire dall’evoluzionismo Darwiniano. Per i progressisti l’evoluzionismo darwiniano è alla base della nuova religione della modernità. Secondo la teoria Darwiniana la vita sarebbe sorta come organismo unicellulare che si sarebbe andato evolvendo, nel corso di milioni di anni, nelle varie specie animali e vegetali che popolano la terra: la cosiddetta Macroevoluzione.

Se l’evoluzionismo darwiniano è un fatto reale e se la specie umana è inserita in un continuum evolutivo per meglio adattarsi all’ambiente ne consegue che, con le attuali conoscenze scientifiche e il progresso tecnologico, l’uomo sarebbe in grado di dirigere in autonomia il processo evolutivo nel modo ritenuto più utile all’individuo e alla società. Il compito spetta alla Politica pressata dalle esigenze dell’Economia e della Finanza. Il futuro radioso della modernità poggia le sua fondamenta sulle sabbie mobili della menzogna nascosta dietro una piccola verità. La Microevoluzione all’interno della specie è un dato di fatto che nessuno si sogna di contraddire. La Macroevoluzione Darwiniana è un mito che serve a far avanzare l’agenda progressista sotto l’egida di una falsa scienza.

Noi siamo testimoni della devastazione di una civiltà plurimillenaria costruita sul Principio di Realtà oggettiva e al suo posto vediamo sorgere una organizzazione artificiale ed utopica della Società attraverso un’operazione di ingegneria sociale che ha come obiettivo ultimo trasformare il dono della vita in un prodotto da commercializzare.

Siamo in presenza di due visioni del mondo tra loro inconciliabili: una si fonda sui dati di Realtà, studia la natura e cerca di carpirne i segreti. Il Progresso è inteso in armonia con le leggi naturali. L’altra si fonda sull’Utopia, vuole ricostruire il mondo secondo i suoi desideri anche contro le leggi di natura.

Nel 2006, ventinove “esperti” hanno stilato i Principi di Yogyakarta che dettavano le regole per il mondo intero: «L’applicazione della Legge Internazionale sui diritti umani in relazione all’orientamento sessuale e all’identità di genere». Una guida universale ai nuovi diritti umani. I Principi sanciscono la scomparsa, ope legis, dell’Anatomia, della Fisiologia, della Genetica, in una parola la scomparsa della variabile Natura e dunque la loro deriva antiscientifica.

Il 17 Maggio 2006 Il Consiglio d’Europa adotta la Decisione n. 771/2006/CE che indice il 2007 come l’Anno delle Pari Opportunità per tutti. Obiettivi specifici da raggiungere:

-Sensibilizzare l’opinione pubblica nei confronti del diritto all’uguaglianza e alla non discriminazione.

  • Suscitare un dibattito sugli strumenti necessari per potenziare la partecipazione alla società.
  • Celebrare e facilitare la diversità.
  • Operare in favore di una società più solidale.

Il 31 marzo 2010 viene pubblicata una Raccomandazione CM/ Rec(2010)5 contro la Discriminazione basata su Orientamento Sessuale e Identità di Genere. Il 29 Aprile 2010 esce la Risoluzione 1728 che proibisce la Discriminazione in base all’Orientamento Sessuale e all’Identità di Genere.

E’ opportuno ricordare come anche la pedofilia sia un orientamento sessuale e pertanto non discriminabile in base alla risoluzione 1728 del 2010.

Il 2 Maggio 2018 è presentata la proposta di Legge 569 Zan et al: «I fatti di cronaca denunciati da numerosi quotidiani nazionali e locali hanno segnalato l’esponenziale aumento nel numero e nella gravità di atti di violenza nei confronti delle persone omosessuali e transessuali…. Abbiamo assistito a una vera e propria escalation dei crimini d’odio legati all’orientamento sessuale e all’identità di genere».

L’omofobia rappresenta una tattica difensiva del mondo LGBT nei confronti di chiunque osi affermare che il comportamento omosessuale non rappresenta un vantaggio né per l’individuo né per la società. Mentre la transfobia è una tattica difensiva che vuole silenziare chi ritiene che siano ancora vigenti le leggi della biologia con l’odiosa divisione in maschi e femmine e che il responsabile di questo crimine sia il cromosoma Y. A questo punto giova ricordare quanto ebbe modo di dire Bertand Russel nel suo testo “The Impact of Science on Society” del 1951: «L’educazione è fondamentale, gli psicologi sociali del futuro avranno delle classi di bambini su cui attueranno diversi metodi per produrre in loro il convincimento incrollabile che la neve sia nera». Anche in questo caso esiste una piccola dose di verità infatti la neve può diventare nera a patto di essere stata calpestata e infangata.

Dott.ssa Dina Nerozzi

Ratzinger: nozze gay e aborto sono segni dell’Anticristo

Le critiche di Benedetto XVI alla società moderna nel nuovo libro-intervista di Peter Seewald. «La vera minaccia per la Chiesa è nella dittatura mondiale di ideologie apparentemente umanistiche, contraddicendo le quali si resta esclusi dal consenso sociale di fondo»

CITTÀ DEL VATICANO. La società moderna è «nel pieno della formulazione di un credo anticristiano», e se «uno si oppone, viene punito con la “scomunica”». Lo afferma Joseph Ratzinger nel nuovo libro, «Ein Leben» (esce domani, mentre la versione italiana e inglese arriveranno in autunno) con un’intervista intitolata «Le ultime domande a Benedetto XVI», firmato dal biografo Peter Seewald. Per il Papa emerito il «matrimonio omosessuale» e l’«aborto» sono il «potere spirituale dell’Anticristo». A rilanciare le dichiarazioni del Pontefice tedesco è stato il sito conservatore americano LifeSiteNews, che in passato aveva diffuso gli attacchi a Bergoglio di monsignor Carlo Maria Viganò, ex nunzio negli Stati Uniti.

Per il Pontefice emerito il «matrimonio omosessuale» e l’«aborto» nel mondo, senza possibilità di dissenso per paura della disapprovazione da parte della società, sono il «potere spirituale dell’Anticristo. Cento anni fa tutti avrebbero considerato assurdo parlare di un matrimonio omosessuale. Oggi si è scomunicati dalla società se ci si oppone», dice. Lo stesso vale per «l’aborto e la creazione di esseri umani in laboratorio».

La società moderna è «nel pieno della formulazione di un credo anticristiano e se uno si oppone, viene punito dalla società con la “scomunica”. La paura di questo potere spirituale dell’Anticristo è quindi più che naturale, e abbiamo davvero bisogno dell’aiuto delle preghiere da parte della Chiesa universale per resistere», sostiene Ratzinger, che ha espresso questi pensieri nel 2018. Per quanto riguarda il suo pontificato, ha detto che a preoccuparlo non erano le trame, anche se «profondamente inquietanti», come Vatileaks: «La vera minaccia per la Chiesa e con essa al ministero petrino non proviene da tali cose, ma dalla dittatura mondiale di ideologie apparentemente umanistiche».

In ogni caso, le resistenze al suo pontificato, «i blocchi venivano più dall’esterno che dalla Curia. Non volevo semplicemente promuovere la purificazione nel piccolo mondo della Curia, ma della Chiesa nel suo insieme». Nel frattempo, gli avvenimenti hanno dimostrato «che la crisi della fede ha portato anche a una crisi dell’esistenza cristiana». Questo è ciò che il «Papa deve avere davanti ai suoi occhi. La vera minaccia per la Chiesa e quindi per il ministero petrino non risiede in queste cose bensì nella dittatura mondiale di ideologie apparentemente umanistiche, contraddicendo le quali si resta esclusi dal consenso sociale di fondo». I «lupi», casomai, emergono nel trionfo della ideologia relativista, che tende ad escludere chi ha una concezione diversa da quella dominante: «L’inganno religioso supremo è quello dell’Anticristo, uno pseudo-messianismo mediante il quale l’uomo si glorifica al posto di Dio e del suo Messia».

fonte: La Stampa

Non possiamo collaborare al suicidio assistito. I medici tutelano la vita

eutanasia-medici-shutter«Deve essere un pubblico ufficiale a occuparsi della procedura. La morte non è un presidio terapeutico. Indispensabile l’obiezione di coscienza». Intervista a Filippo Anelli, presidente della Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri

Leone Grotti, 26 settembre 2019 su Tempi

«I medici possono stare accanto al malato fino alla fine, ma non devono collaborare in alcun modo al suicidio assistito. La morte non è un presidio terapeutico, sarebbe innaturale per noi. La professione medica tutela la vita». Filippo Anelli, presidente della Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri, commenta così a tempi.it la sentenza della Corte costituzionale che ieri, in modo confuso e incoerente, ha depenalizzato il suicidio assistito in Italia a certe condizioni.

Quali sono i paletti posti dalla Consulta?
Il reato di aiuto al suicidio è stato depenalizzato in casi molto particolari: il malato deve essere terminale, sopravvivere grazie all’aiuto di macchinari, essere in preda a grandi sofferenze ed essere cosciente. Ora tocca al governo e al Parlamento fare una legge.

Che cosa chiedono i medici alla politica?
Chiediamo rispetto nei confronti della professione. Lo scopo del medico è combattere la malattia, alleviare la sofferenza e allontanare la morte il più possibile. I cittadini che scelgono il suicidio assistito non saranno mai abbandonati dai medici, ma chiediamo che non siano i dottori a dare avvio alla procedura che porta alla morte.

Chi deve farlo allora?
Un pubblico ufficiale. I medici non possono collaborare al suicidio assistito e questo è possibile dal momento che è il malato che dovrà assumere il farmaco letale sciolto in un bicchiere.

Perché chiedete di non collaborare all’eutanasia?
Sarebbe innaturale, la morte non è un presidio terapeutico. Non ci è mai successo né capitato di farlo. È dal 400 a.C., da quando Ippocrate ha scritto quel bel giuramento, che la professione medica è protetta da stravolgimenti di ogni genere. La nostra professione tutela la vita e basta.

La Corte Costituzionale non ha ricordato l’obiezione di coscienza.
Penso che lo farà nella sentenza, che non è ancora uscita. L’obiezione di coscienza va per forza inserita nella legge, perché bisogna tutelare i colleghi che ritengono l’eutanasia incompatibile con i propri convincimenti racchiusi nella coscienza. Ma se saranno i pubblici ufficiali a fare tutto, non ci sarà neanche bisogno dell’obiezione.

>Fino a quando non ci sarà una legge, saranno i giudici a decidere caso per caso. Siete preoccupati?
Sì. Il governo deve disciplinare il suicidio assistito quanto prima e stabilire che i medici devono occuparsi solo dei trattamenti sanitari.

Ha ricordato che la Consulta ha posto paletti precisi. Ma negli altri paesi europei dove è stata legalizzata l’eutanasia, dal Belgio all’Olanda, i paletti sono caduti in pochi anni e le maglie della legge si sono allargate a dismisura.
Penso che si aprirà un dibattito nella società. Da una parte c’è il rispetto della vita umana, dall’altro l’autodeterminazione dell’individuo. Io temo che prevarrà sempre di più quest’ultimo concetto. La tendenza che si vede nelle società è questa, anche se in Italia potrà non piacere a grandi strati della popolazione.

@LeoneGrotti
Foto BlurryMe/Shutterstock

Molte dure domande e una risposta da medici

da Avvenire

Caro direttore, il comunicato stampa diffuso ieri dalla Corte Costituzionale è un raro esempio di confusione sui termini della delicatissima questione che deve essere affrontata. Senza ribadire gli aspetti etici e antropologici di fondamentale importanza che questa ordinanza comporta – la vita come diritto e bene subordinato alla autodeterminazione – e sui quali tanto e bene ha affermato il presidente della Cei due settimane fa, vorrei puntare il focus sugli aspetti medici a essa strettamente connessi.

Affronterei per primo il contesto strettamente clinico. Nel testo si pongono alcune condizioni ricorrendo le quali si configura la «non punibilità» dell’aiuto al suicidio. Si parla di «patologia irreversibile», «tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale», «sofferenze fisiche o psicologiche ritenute intollerabili », «capacità di prendere decisioni libere e consapevoli »… Siamo in attesa del testo della sentenza, che arriverà solo tra alcune settimane, e tuttavia c’è da temere che chi scrive abbia un’idea molto vaga del tema che sta trattando.

Andiamo per ordine. «Patologia irreversibile» che provoca «sofferenze fisiche o psicologiche ritenute intollerabili ». Il pensiero corre subito alle gravi patologie neurodegenerative (Sla, Sm, Parkinson, la variegata famiglia delle neuropatie con paralisi progressive, demenze varie ecc…), ma purtroppo l’elenco è molto più ampio e complesso. Facciamo due esempi facili da comprendere anche dai non addetti ai lavori. La «cefalea a grappolo» che il Manuale di Medicina Interna ‘Harrinton’ definisce «uno dei mali peggiori che si possa sperimentare », con attacchi violenti di mal di testa, che si ripetono anche decine di volte al giorno, e invalidano totalmente la vita lavorativa e relazionale di chi ne soffre, costretto a chiudersi in una stanza al buio e silenzio totali. Farmaci analgesici, antiinfiammatori e perfino oppiacei sono inefficaci. Non esiste una vera terapia e può durare un numero indefinito di anni. Potrebbe rientrare nelle caratteristiche che la Consulta delinea. Altra fattispecie: depressione endogena, cioè senza apparente causa scatenante esterna. È malattia irreversibile sulle cui sofferenze connesse è inutile spendere parole. Dobbiamo forse concludere che anch’essa può rientrare nelle patologie delineate dalla Corte? È possibile obbiettare che manca un requisito: «Tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale». E qui c’è il rischio della più ampia discrezionalità interpretativa. Voi pensate che un parkinsoniano possa vivere senza farmaci, o un epilettico senza anticomiziali, o un diabetico senza insulina, o un depresso endogeno senza neurolettici? Sono veri trattamenti di sostegno vitale! Non si può vivere senza di essi, ma possiamo sospenderli: dunque «suicidio assistito » garantito e legittimo?

Un altro requisito indicato dalla Corte: «Capacità di prendere decisioni consapevoli ». Pensiamo che chiunque di noi si trovasse nelle condizioni cliniche delle patologie sopra menzionate e tante, tante altre consimili, magari con l’aggiunta dell’evidente disagio e ‘disturbo’ manifestato da familiari o conviventi, e con la pressione sociale che invoca il ‘meglio togliersi di mezzo, perché oltretutto costi e sottrai risorse alla società’ sarebbe nella condizione oggettiva di formulare decisioni veramente libere ed equilibrate? In palese contraddizione, in aggiunta, con l’affermazione finale del comunicato: per «evitare rischi di abuso nei confronti di persone specialmente vulnerabili». Chi è più vulnerabile di un grave disabile, come sopra descritto?

Da ultimo: responsabile «della verifica delle condizioni richieste e delle modalità di esecuzione» è il medico, in qualità di competente, addetto ai lavori. Questo passaggio è veramente inaccettabile, come ha giustamente fatto notare la presidenza della FnomCeo. Si lasci che il medico faccia il ‘mestiere’ per il quale ha studiato, lavorato e impegnato ore e ore di studio: difendere la vita, prevenire e curare le malattie, lenire il dolore. Personalmente mi sento gratificato e – permettetemi – felice quando dopo ore di sala operatoria ho asportato un tumore cerebrale; e mi sento offeso se si pretende che in pochi minuti infili un ago nel braccio del mio paziente per iniettare il «farmaco letale». Ore per salvare una vita, due minuti per uccidere: questa non è medicina. Dunque, sì, se proprio si vuole, si compili una lista di ‘funzionari statali’ addetti a questa abbietta incombenza e si lasci al medico il compito che gli compete da millenni.

prof. Massimo Gandolfini
Neurochirurgo e psichiatra

Il mercato di bambini chiamato utero in affitto

Tratto da Cultura identità: in Opinioni Di Federico Cenci

L’Isola Tiberina è uno dei punti nascita più prolifici di Roma e non solo. Tra le antiche mura dell’ospedale Fatebenefratelli vengono alla luce ogni giorno tanti bambini. E ogni nascita, si sa, è un trionfo di gioia e di tenerezza. Purtroppo non ovunque è così. In diverse aree del pianeta avvengono parti che sono, di fatto, la tappa finale di un processo commerciale che relega il bambino a prodotto e la mamma a mera incubatrice. Del tema se n’è parlato proprio sull’isola del Tevere, ad Atreju, festa dei giovani di Fratelli d’Italia, nel corso della presentazione del libro della scrittrice Enrica Perucchietti “Utero in affitto” (ed. Revoluzione, 2016). Ospiti, insieme all’autrice, la giornalista de “La Verità” e “Panorama” Marianna Baroli, il giornalista Rai e presidente di “Lettera22” Paolo Corsini e il neurochirurgo e presidente del Family Day Massimo Gandolfini. Il dibattito è stato introdotto da Marcello Gemmato, deputato di FdI e segretario della commissione Affari Sociali della Camera, e moderato da Carolina Varchi, deputata e responsabile nazionale Famiglia e Vita di FdI.

Trovare spazi di dibattito su questo argomento è esercizio tutt’altro che agevole. Ne sa qualcosa la Perucchietti, la quale ha spiegato di essere stata vittima di insulti e minacce sulla rete per essersi occupata di questioni politicamente scorrette come le finalità dell’ideologia gender e, appunto, lo sfruttamento che è alla base dell’utero in affitto. Eppure, qualsiasi persona con un minimo di sensibilità dovrebbe insorgere dinnanzi al fatto che – ha spiegato l’autrice – “in Paesi del cosiddetto secondo mondo, ci sono cliniche dove le donne vengono equiparate a dei forni e fanno da madri surrogate in modo seriale”. Sensibilità che, al contrario, gran parte dei media e dell’opinione pubblica manifestano nei confronti degli animali. “Non strappiamo nemmeno i cuccioli di cane o gatto dalla mamma prima dello svezzamento, e invece accettiamo che ciò avvenga per i bambini”, la denuncia della scrittrice. Non solo, l’utero in affitto si trascina dietro anche l’eugenetica. “L’aspetto più abominevole – ha detto la Perucchietti – è che quando il bambino nel grembo presenta delle disabilità, viene anche rimandato indietro dai committenti esattamente come noi possiamo rimandare indietro un paio di scarpe che compriamo on-line”.

Business dell’utero in affitto che è stato oggetto di un’inchiesta di Marianna Baroli pubblicata su “Panorama”. Fingendosi donna interessata a diventare madre surrogata, si è rivolta a una clinica californiana ed ha potuto sviscerare, dal di dentro, il giro di soldi ma anche di richieste stravaganti che i committenti rivolgono. La realtà che ha fotografato è che l’utero in affitto ha due facce: quella delle donne povere che si riducono ad affittare il loro utero pur di sbarcare il lunario e quella di chi considera il figlio qualcosa che si può acquistare (a cifre tutt’altro che insignificanti, in America si discute dai 100mila dollari in su). La narrazione di questa realtà, tuttavia, difetta di un vocabolario fin troppo edulcorato. Come ha spiegato Paolo Corsini, esiste una vera e propria “guerra di parole”. Ad esempio – la sua riflessione – il concetto di “diritti civili” applicato a temi come l’utero in affitto “ci porta a vederli” con occhio benevolo. “Il problema – ha aggiunto – è che esiste un mainstream che continua a dominare il linguaggio comune dell’informazione”.

Le parole non possono però sopprimere la natura. Nel suo intervento, da medico, Gandolfini ha svelato il mistero della gravidanza, sottolineando il rapporto che fin dal concepimento si crea tra madre e figlio. Rapporto genetico, ma anche emotivo. Il presidente del Family Day ha spiegato che le emozioni della donna incinta vengono trasmesse al piccolo nell’utero e che, dopo la nascita, ha valore fondamentale per il piccolo restare con la mamma per completare appieno il suo sviluppo cognitivo. “Affermare – ha aggiunto – che per il bambino ciò che conta è solo l’amore, indipendentemente che abbia un padre o una madre, è stolto e ascientifico”, perché “il rapporto che la mamma ha con il figlio è unico, non può essere surrogato da nessuno, non si può cambiare un elemento biologico. E noi, come società civile – ha concluso – abbiamo il dovere di tutelare i bambini, che non possono diventare merce di scambio”.

L’insopportabile leggerezza della Consulta. Un comunicato, tre refusi

corte-costituzionale-giudiciIl comunicato della Corte costituzionale che depenalizza l’eutanasia è pieno di strafalcioni. Come se non fosse una questione di vita o di morte.

 
 

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Il magistrato e accademico Vladimiro Zagrebelsky firma oggi un editoriale sulla Stampa per convincerci che la sentenza della Corte costituzionale che depenalizza l’eutanasia in Italia «non istiga al suicidio». Al di là dell’evidente contraddittorietà di questa affermazione, il giurista sottolinea in tutte le salse quanto i giudici supremi sono stati «cauti» e quanto fossero «consapevoli della gravità e delicatezza del tema».

TRE REFUSI NEL COMUNICATO
Se è vero che nessun tema al pari del suicidio assistito è una questione di vita o di morte, è altrettanto evidente la superficialità e leggerezza con cui la Consulta ha affrontato il tema. Erano così «consapevoli» i guardiani della nostra Costituzione che hanno sbagliato e rettificato per ben tre volte il comunicato (in attesa della sentenza vera e propria) nel quale davano disposizioni su chi e quando può accedere al suicidio di Stato.

Il primo errore, il più grave, riguarda proprio la definizione dei requisiti per accedere all’eutanasia. Nel comunicato originale si leggeva che «non è punibile ai sensi dell’articolo 580 del codice penale (…) chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio (…) di un paziente (…) affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche».

L’ENORME DIFFERENZA TRA “E” ED “O”
Ieri è arrivata la correzione: «Per un refuso alla riga 8 compare, invece della disgiuntiva “o”, la congiunzione “e”. Quindi, l’espressione corretta (peraltro tratta dall’ordinanza n. 2017 del 2018) è la seguente: “… fonte di sofferenze fisiche o psicologiche”». Una differenza enorme: nel primo caso era richiesta la concomitanza di problemi fisici e psicologici insieme. Nel secondo, solo uno dei due. La disgiuntiva “o” infatti aumenta a dismisura la platea di chi potrà avere accesso all’eutanasia.

In Olanda, ad esempio, dove la legge sull’eutanasia è stata approvata nel 2002, ci sono voluti ben otto anni prima di dare il via libera alla soppressione di malati con problemi esclusivamente psicologi e psichiatrici. Se tra il 2003 e il 2010 ci sono stati al massimo due o tre casi ufficiali all’anno, il numero è poi cresciuto a dismisura: 13 nel 2011, 14 nel 2012, 42 nel 2013, 41 nel 2014, 56 nel 2015, 60 nel 2016, 83 nel 2017 e 67 nel 2018. A questi vanno poi aggiunti i malati affetti da demenza uccisi con l’eutanasia, ben 859 tra il 2010 e il 2018. È questa la differenza che, in Olanda, passa tra una “e” e una “o”.

IL RIMANDO ALL’ORDINANZA SULLA CACCIA
Ma nella correzione c’è un secondo errore: l’ordinanza citata n. 2017 del 2018, infatti, non esiste. È stato fatto dunque un nuovo comunicato dove si citava l’ordinanza n. 217 del 2018. Questa riguarda un contenzioso tra la Regione Abruzzo e l’Enpa (Ente nazionale protezione animali) a riguardo di una legge sull’attività venatoria e la protezione della fauna selvatica. Forse la Corte costituzionale pensava che qualcuno avrebbe preso a schioppettate i malati. Si è trattato invece di un nuovo errore, un’altra leggerezza. A questo punto, è stato redatto un ultimo comunicato dove si cita l’ordinanza giusta: la 207 del 2018.

TANTO CI PENSANO I MEDICI
Non si è mai visto che su un tema così delicato e dalle conseguenze così gravi per la vita dei malati e dell’intera società, dei giudici si permettessero di infilare uno dietro l’altro così tanti strafalcioni. Come se fosse un argomento da poco, come se non fosse una questione di vita o di morte. Alla faccia della «cautela» e della «consapevolezza della gravità e delicatezza del tema». Tanto saranno i medici (nel comunicato non si cita neanche l’obiezione di coscienza) a occuparsi dell’uccisione dei pazienti. Saranno loro che dovranno sporcarsi le mani. I giudici della Corte costituzionale, del resto, se le sono già sporcate abbastanza.

La legge dell’Alabama? Ancora ingiusta, ma è un passo avanti

alabama-vignetta-large-0Davanti alla proposta sull’aborto approvata in Alabama bisogna chiedersi: si tratta di una legge giusta, posta a tutela della vita del nascituro, o ingiusta? La risposta è che questa legge rimane ingiusta, perché non è mai moralmente lecito procurare volutamente la soppressione del nascituro, ma è meno ingiusta rispetto alle norme tuttora vigenti. E si spera possa innescare effetti positivi, come una revisione della tematica abortiva con il concorso della Corte Suprema.

di Tommaso Scandroglio

Il testo di legge in materia di aborto che ha ricevuto la firma del governatore dell’Alabama Kay Ivey, e la cui entrata in vigore è prevista tra sei mesi, riporta il seguente titolo: “Legge dell’Alabama per la tutela della vita umana”. Il titolo corrisponde al contenuto della legge? In altri termini: si tratta di una legge giusta, posta a tutela della vita del nascituro, o ingiusta? La risposta è la seguente: questa legge è intrinsecamente ingiusta, seppur sia una proposta meno ingiusta rispetto alla legge tuttora vigente in Alabama e rispetto ad altre leggi sull’aborto. Per provarlo andiamo ad esaminare per sommi capi l’articolato di legge (https://legiscan.com/AL/text/HB314/id/1980843).

Il cuore della proposta è la sezione 4: “Abortire è consentito se un medico curante con licenza in Alabama stabilisce che è necessario abortire per prevenire gravi rischi per la salute della madre del nascituro”. Inoltre nella sezione 3 si afferma che è legittimo abortire “quando il nascituro ha un’anomalia letale” per la sua stessa sopravvivenza. Infine è legittimo l’aborto se la donna, affetta da una grave patologia mentale, è a rischio suicidio oppure rischia di ricorrere all’aborto clandestino (sezione 3).

Ricordiamo che non è mai moralmente lecito abortire, ossia volere la soppressione di un nascituro innocente. Non è mai permesso nemmeno perseguendo il fine buono di tutelare la salute o la vita della madre. Dunque, dato che questo disegno di legge legittima l’aborto e dato che mai si può legittimare il male, ne consegue che tale disegno di legge è intrinsecamente ingiusto.

Qualche altra considerazione in merito all’articolato di legge. Cosa si intende per “gravi rischi per la salute della madre”? La sezione 3 ne offre una interpretazione autentica: si tratta di un serio pericolo di “danno fisico sostanziale di una importante funzione corporea”. Dunque la prima valutazione che dovrà fare il medico e, se si va a processo, il giudice riguarda la probabilità che si verifichi il danno: il rischio deve essere serio, quindi elevato. La seconda valutazione deve riguardare la rilevanza del danno che come abbiamo visto deve essere sostanziale e deve riguardare una funzione corporea importante. I rischi possono essere generati dalla gravidanza oppure no, quindi da patologie indipendenti dalla gravidanza e, per ipotesi, già in essere al momento in cui la donna scopre di aspettare un bambino.

Ora, in merito alla doppia valutazione di cui sopra – grado di rischio e grado di lesività – la valutazione è soggetta ad ampia discrezionalità ed è facile sfociare nell’arbitrarietà. Ad esempio, qualsiasi stress di un certo rilievo a carico di qualsiasi organo o apparato, generato dalla gravidanza, potrebbe essere motivo legittimo per abortire. Parimenti, un rischio di abortire spontaneamente potrebbe indurre la donna a richiedere legittimamente l’aborto. A maggior ragione se la donna è già affetta da una patologia importante: tumore, malattie cardiovascolari, etc. Dunque, una normativa che i media hanno venduto come estremamente restrittiva potrebbe, al momento della sua attuazione concreta e soprattutto nelle mani di giudici liberali, diventare sensibilmente permissiva.

Come accennato, anche la donna con documentata patologia psichiatrica di natura grave potrebbe essere sottoposta ad aborto se c’è il rischio che si tolga la vita oppure che ricorra all’aborto clandestino. Oltre all’arbitrarietà nella decisione di stabilire la gravità di una patologia psichiatrica, questa indicazione normativa rischia di legittimare l’aborto per tutte le donne disturbate, al di là del fatto che la gravidanza le spinga o meno a cercare la morte. In altre parole, nella prospettiva della legge ogni aborto su donna mentalmente fragile potrebbe essere legittimato, perché, per ipotesi, nessuna è assolutamente esente dal rischio di togliersi la vita o di ricorrere all’aborto clandestino proprio perché mentalmente disturbata.

La sezione 5 poi disciplina quanto segue: “Nessuna donna su cui un aborto viene eseguito o su cui viene tentato di essere eseguito deve essere penalmente o civilmente responsabile”. Due note. La prima: se il medico che compie l’aborto al di fuori dei casi legittimati finisce in carcere, in quanto esecutore materiale, per logica anche il mandante, cioè la donna, dovrebbe essere punita, tenuto conto altresì del principio di equità: perché punire la madre infanticida e non la madre che ricorre all’aborto? Sarà poi il giudice che doverosamente, come per tutti gli altri casi di omicidio, dovrà adeguare la sanzione all’oggettiva responsabilità della donna e dunque alle condizioni psicologiche che l’hanno condotta a questa scelta, tenendo quindi conto delle eventuali pressioni della famiglia, del padre, dello stato di indigenza, della paura di perdere il posto di lavoro, etc.

Seconda nota: la donna che, non potendo abortire secondo i requisiti di legge, compra su Internet o da un farmacista compiacente una pillola abortiva e poi la ingerisce deve essere sanzionata? Difficile rispondere con certezza. Si potrebbe così interpretare il testo di legge: come soggetto passivo su cui è avvenuta la pratica abortiva la donna è esente da sanzione, come soggetto attivo che ha procurato l’aborto invece sarebbe penalmente perseguibile e dunque, in conclusione, meriterebbe di essere sanzionata. Starà tutto all’interpretazione dei giudici.

Un’ultima annotazione. L’aborto procurato per stato di necessità dettato dall’intento di salvare la vita della madre non dovrebbe essere legittimato, come invece ha fatto il presente disegno di legge, ma meramente tollerato. In altri termini: una cosa è assegnare un diritto di abortire in stato di necessità, un’altra è decidere di non punire perché il carcere sarebbe sì adeguato al tipo di illecito, ossia al valore del bene leso (vita), ma non adeguato al grado di responsabilità proprio di una persona che ha agito stretta da necessità, cioè in pericolo di vita.

Nonostante questa norma sia intrinsecamente ingiusta, ciò non toglie che tale disegno di legge segna oggettivamente il passaggio da una normativa ingiusta a una normativa meno ingiusta. Il giudizio sulla legge quindi rimane negativo, invece il giudizio sul processo in corso in Alabama è positivo perché passare dal pessimo al peggio è un miglioramento, attuato per il tramite di azioni moralmente riprovevoli e dunque condannabili, ma è comunque un oggettivo miglioramento. Inoltre questa proposta probabilmente innescherà alcuni effetti positivi: un eventuale effetto emulativo in riferimento ad altri Stati (nella speranza però che l’emulazione percorra soluzioni moralmente lecite), una possibile revisione del quadro nazionale sulla tematica abortiva con il concorso della Corte Suprema, un rinvigorimento delle energie del fronte pro life, eccetera.

Da: http://www.lanuovabq.it/it/la-legge-dellalabama-ancora-ingiusta-ma-e-un-passo-avanti  (18.05.2019)