Non possiamo collaborare al suicidio assistito. I medici tutelano la vita

eutanasia-medici-shutter«Deve essere un pubblico ufficiale a occuparsi della procedura. La morte non è un presidio terapeutico. Indispensabile l’obiezione di coscienza». Intervista a Filippo Anelli, presidente della Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri

Leone Grotti, 26 settembre 2019 su Tempi

«I medici possono stare accanto al malato fino alla fine, ma non devono collaborare in alcun modo al suicidio assistito. La morte non è un presidio terapeutico, sarebbe innaturale per noi. La professione medica tutela la vita». Filippo Anelli, presidente della Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri, commenta così a tempi.it la sentenza della Corte costituzionale che ieri, in modo confuso e incoerente, ha depenalizzato il suicidio assistito in Italia a certe condizioni.

Quali sono i paletti posti dalla Consulta?
Il reato di aiuto al suicidio è stato depenalizzato in casi molto particolari: il malato deve essere terminale, sopravvivere grazie all’aiuto di macchinari, essere in preda a grandi sofferenze ed essere cosciente. Ora tocca al governo e al Parlamento fare una legge.

Che cosa chiedono i medici alla politica?
Chiediamo rispetto nei confronti della professione. Lo scopo del medico è combattere la malattia, alleviare la sofferenza e allontanare la morte il più possibile. I cittadini che scelgono il suicidio assistito non saranno mai abbandonati dai medici, ma chiediamo che non siano i dottori a dare avvio alla procedura che porta alla morte.

Chi deve farlo allora?
Un pubblico ufficiale. I medici non possono collaborare al suicidio assistito e questo è possibile dal momento che è il malato che dovrà assumere il farmaco letale sciolto in un bicchiere.

Perché chiedete di non collaborare all’eutanasia?
Sarebbe innaturale, la morte non è un presidio terapeutico. Non ci è mai successo né capitato di farlo. È dal 400 a.C., da quando Ippocrate ha scritto quel bel giuramento, che la professione medica è protetta da stravolgimenti di ogni genere. La nostra professione tutela la vita e basta.

La Corte Costituzionale non ha ricordato l’obiezione di coscienza.
Penso che lo farà nella sentenza, che non è ancora uscita. L’obiezione di coscienza va per forza inserita nella legge, perché bisogna tutelare i colleghi che ritengono l’eutanasia incompatibile con i propri convincimenti racchiusi nella coscienza. Ma se saranno i pubblici ufficiali a fare tutto, non ci sarà neanche bisogno dell’obiezione.

>Fino a quando non ci sarà una legge, saranno i giudici a decidere caso per caso. Siete preoccupati?
Sì. Il governo deve disciplinare il suicidio assistito quanto prima e stabilire che i medici devono occuparsi solo dei trattamenti sanitari.

Ha ricordato che la Consulta ha posto paletti precisi. Ma negli altri paesi europei dove è stata legalizzata l’eutanasia, dal Belgio all’Olanda, i paletti sono caduti in pochi anni e le maglie della legge si sono allargate a dismisura.
Penso che si aprirà un dibattito nella società. Da una parte c’è il rispetto della vita umana, dall’altro l’autodeterminazione dell’individuo. Io temo che prevarrà sempre di più quest’ultimo concetto. La tendenza che si vede nelle società è questa, anche se in Italia potrà non piacere a grandi strati della popolazione.

@LeoneGrotti
Foto BlurryMe/Shutterstock

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