L’umanesimo estinto dell’uomo senza Dio

Michelangelo - Creazione di Adamo (Cappella sistina)

“La creazione di Adamo” opera di Michelangelo Buonarroti, Cappella Sistina

Da troppo tempo il pensiero filosofico esclude dalla speculazione ogni valutazione sull’origine dell’universo come atto creativo Questo impedisce di fatto ogni approccio all’ambiente come dono di cui è possibile fruire con rispetto e promuove forme di sfruttamento tecnicistico e utilitaristico

di Vittorio Possenti

Il pensiero contemporaneo e la filosofia italiana si indirizzano tuttora fortemente verso il mondo umano e le scienze dell’uomo: verso l’etica, la politica, il diritto, l’economia. La cosa non dispiace, eppure questo grande movimento lascia a lato la questione dell’essere e la ricerca di un senso ultimo, ritenendo che la realtà più reale di altre sia la storia. Siamo dinanzi a una filosofia antropocentrica che in genere non guarda oltre l’uomo e il suo mondo storico, secondo un indirizzo che potremmo chiamare illuministico e storicistico, poiché l’illuminismo e lo storicismo di un tempo avevano cercato una concentrazione sulla umanità occidentale equiparata alla totalità. Peraltro l’antropocentrismo si rivela inadatto a render conto dell’intero e anzi compie una secca operazione di chiusura, di cui è segno l’estrema scarsità di riflessione sulla creazione quale prima rivelazione divina all’uomo. Tra i compiti della filosofia vi è quello di educare l’essere umano a un atteggiamento di fruizione, compresa la contemplazione o esperienza del bello, al posto dell’atteggiamento utilitaristico di dominio e di sfruttamento. Diventa ancor più urgente recuperare il senso del creato come massimo dono di Dio, mentre l’uomo contemporaneo vede solo ciò che egli ha prodotto. L’uomo percepisce che tutto quello che lo circonda è stato fatto da lui, e pertanto si ritiene al principio di tutto, viceversa la fede gli dice che tutto viene da Dio. Di ciò si era accorto Hegel oltre due secoli fa. Benedetto XVI nel Discorso al Reichstag (Berlino, 22 settembre 2011) ha espresso perfettamente la situazione dicotomica in cui versiamo: «La ragione positivista, che si presenta in modo esclusivista e non è in grado di percepire qualcosa al di là di ciò che è funzionale, assomiglia agli edifici di cemento armato senza finestre, in cui ci diamo il clima e la luce da soli e non vogliamo più ricevere ambedue le cose dal mondo vasto di Dio. E tuttavia non possiamo illuderci che in tale mondo autocostruito attingiamo in segreto ugualmente alle “risorse” di Dio, che trasformiamo in prodotti nostri. Bisogna tornare a spalancare le finestre, dobbiamo vedere di nuovo la vastità del mondo, il cielo e la terra e imparare a usare tutto questo in modo giusto». Aderire alla verità della creazione come dono divino favorisce il distacco da una concezione prometeica dell’uomo e tecnica della natura come serbatoio da sfruttare. Si deve con rammarico riconoscere che il senso autentico della creazione del cosmo e della creatura spirituale è da tempo assai evanescente nella cultura, nella scienza e in certo modo anche nella teologia: se vi è un terreno bisognoso di un vigoroso lavoro filosofico e teologico è proprio questo. La triade “Dio-uomo-mondo” in cui si racchiude il nostro destino, si è ridotta nella modernità avanzata al solo secondo termine, nel segno dell’antropocentrismo segnalato; e solo da poco si avverte un qualche recupero del nesso uomo-cosmo e uomo-terra, sotto la spinta delle scoperte fisiche e cosmologiche. Positivismo, nichilismo, tecnicismo, antropocentrismo, scientismo hanno in vario modo cancellato la creazione e la presenza di Dio in essa. Ciò comporta un impoverimento della stessa nozione di Dio. La crisi ecologica ripropone la necessità di indagare i nessi tra l’uomo, la sfera della vita e Dio creatore. L’enciclica Laudato si’ apre nuovi spazi e richiama filosofi e teologi a riprendere la riflessione sulla creazione e sul rapporto tra Dio e il mondo. L’apporto maggiore di Tommaso d’Aquino alla questione cosmologica e creazionistica è l’idea metafisica e non fisica di creazione, mentre nel contesto culturale contemporaneo la cosmologia (filosofica e scientifica) non riescono a evadere dall’ambito della fisica: si cerca una spiegazione fisica a un problema che a tale livello non ne ha. Dottrine sull’inizio e ontologie della libertà, che pur cercano di evadere dall’empirico, non sembrano a misura di questo tema vitale. Intanto influisce negativamente la filosofia ricavata dal darwinismo, che rimane il punto di riferimento di tanti scienziati e di non pochi filosofi. Secondo J. Rachels «il darwinismo conduce inevitabilmente all’abbandono della dottrina della dignità umana e alla sua sostituzione con un genere differente di etica», in cui gli esseri umani e gli altri animali non appartengano a categorie morali differenti. Secondo Rachels la teoria darwiniana presa sul serio rende irragionevole la tesi dell’uomo fatto a immagine di Dio, e conduce al rifiuto dell’assunto che l’essere umano sia l’unico ragionevole. Dunque non vi sono veri motivi per sostenere la speciale dignità dell’uomo e perciò l’umanesimo. Nell’intento di Rachels di mettere da parte la dottrina della dignità dell’uomo, si legge anche la volontà di escludere ogni riferimento alla creazione: il titolo del volume Creati dagli animali (1996), non dunque da Dio, è esplicito e manifesta una vis anticreazionistica, che sarebbe avvalorata dalla “filosofia prima” dell’evoluzionismo. Negli ultimi decenni sono stati numerosi gli studi volti a sostenere una “creazione senza Dio”. In varie forme di specismo e in genere nell’antispecismo è arduo leggere il riconoscimento dello statuto creaturale del cosmo, e l’implicazione che gli enti creati portino in sé qualche modalità di essere a immagine e somiglianza del Creatore. La critica rivolta alla dignità dell’uomo conduce alla dissoluzione del concetto di persona: esso rimane come semplice termine del linguaggio che però, svuotato di ogni significato reale, è nominalistico. Ora, se Dio e il regno degli spiriti è negato, l’uomo non potrà più “stare in mezzo”, ma verrà respinto solo nel mondo dei corpi, corpo anch’esso. In base alla teoria dell’evoluzione e al suo senso materialistico immanente, l’uomo non è più confine tra due regni, ma ricompreso completamente in quello della corporeità e della mortalità. In tal modo la necessaria ecologia dell’uomo, in cui questi deve rispettare la sua propria natura, verrà confinata al momento corporeo dell’umano dove non esiste differenza tra essere umano e animale, e la tecnica cercherà di spadroneggiare.

Che fine hanno fatto i “valori non negoziabili”?

Il popolo del Family Day

di Massimo Gandolfini

Il male vince quando i buoni cessano di combattere”, scriveva un filosofo inglese di fine ‘700. Accade certamente anche oggi ed il popolo del Family Day l’ha capito a tal punto che si è mobilitato, si è dato una struttura dando vita al Comitato Difendiamo i Nostri Figli ed ha scelto una strategia politica nella prospettiva delle prossime elezioni.

Voglio ribadire quanto ho già affermato in numerose occasioni, in ogni angolo d’Italia: siamo assolutamente convinti che la salvezza non viene dalla politica e che il Vangelo non è un partito politico. Il compito che oggi ci attende, tenendo gli occhi rivolti al Cielo ed i piedi ben piantati per terra, è quello di fecondare, contaminare, influenzare, indirizzare il mondo della politica e i partiti di cui sono gli strumenti concreti, al fine che si promuovano, tutelino e difendano i valori della vita, della famiglia e della libertà educativa. Fino a poco tempo fa si parlava di valori “non negoziabili”, ma sembra proprio che questa definizione – peraltro molto semplice, chiara e efficace – sia caduta in disgrazia.

Dunque, parliamo di valori che sono indicatori dello stato di civiltà di un popolo. Perché la vera civiltà non si misura né con il Pil né con il tormentone della “green economy”, ma piuttosto con rispetto della vita e della sua dignità, dall’aurora al tramonto, evitando accelerazioni mortifere. Ogniqualvolta il diritto positivo scavalca e mortifica il diritto naturale (vedi aborto, eutanasia, utero in affitto) e l’astrazione ideologica diventa imposizione educativa (vedi gender, unioni civili, legalizzazione delle droghe) chi ne fa le spese è l’uomo, l’umanità, la società degli esseri viventi. Basta dare uno sguardo, anche rapido, ai fatti che ci circondano: in tutti i Paesi, paradiso dei “nuovi diritti” assicurati, il tasso di suicidi è spaventoso, la dipendenza da alcool e sostanze alle stelle, la solitudine esistenziale dilaga e per avere una persona che segua un funerale bisogna assumere una ditta di prezzolati. Ecco l’inferno: la solitudine, l’abbandono, l’anomia identitaria, la confusione. Non più pellegrini verso una meta, ma vagabondi verso l’abisso.

Con questi principi e valori vogliamo contaminare i partiti che ci stanno, assolutamente certi che nessuno di essi ci rappresenta fino in fondo. Personalmente, data la contingenza attuale, vedo questa strategia come il “bene maggiore” possibile; altri possono legittimamente pensare che sia il ”male minore”: ciò che conta è che possiamo portare le nostre idee dentro l’agenda politica di questi partiti, con donne ed uomini “candidati” che, eletti, siano garanti di azioni concrete nella direzione descritta. Oggi, non solo è utopico, ma addirittura dannoso pensare ad un “partito di valori cattolici”.

Utopico, perché richiede un lavoro delicato, difficilissimo, che non si improvvisa a tavolino in una sera ed esige uno spirito di servizio gratuito che non cerca poltrone “hic et nunc”. Dannoso, perché oggi si possono disperdere voti (non è proprio il momento del cosiddetto “voto di testimonianza”) necessari all’affermazione di forze che tutto sommato ci stanno dando ascolto.

Solo la Divina Provvidenza sa che cosa accadrà domani; oggi ci tocca operare con lucidità, concretezza e virtuoso pragmatismo perché la porta stretta del voto ci consenta di portare in Parlamento chi ha già combattuto al nostro fianco e chi si candida a farlo. Il “dopo elezioni” è una pagina bianca, che vogliamo e dobbiamo scrivere insieme, con coraggio, lucidità e umiltà.

La Costituzione e i tre inganni delle unioni civili

Autore prof. Giorgio Maria Carbone o.p. , da “ La Bussola Quotidiana ”

Inizio con due avvertenze.

1) Do per scontato che tu abbia chiaro che già oggi in Italia le persone conviventi dello stesso sesso hanno i diritti che invocano (clicca qui).

2) Tenteremo di procedere secondo il metodo razionale, senza cedere al pathos emotivo, alle urla ideologiche o autoritari diktat.

Cosa è il matrimonio? La domanda non è retorica o banale. Si impone dati i tempi che viviamo: le piazze si stanno riempiendo, c’è il rischio di contrapposizioni tanto violente quanto sterili, molti hanno smarrito l’elementare senso comune, è sempre più difficile ascoltare argomenti razionali e oggettivi, piuttosto che slogan emotivi. Se volessi fare un discorso di tipo confessionale, cioè per i credenti, farei riferimento alla sacra Scrittura, alla tradizione apostolica e al magistero della Chiesa. Ma non è questo il mio obiettivo. Tenterò di argomentare in modo laico, cioè senza appellarmi a principi di autorità, ma alla ragione umana e ad alcuni dati, come la Costituzione della Repubblica, che dovrebbero essere pacificamente condivisi dai cittadini italiani.

Proprio la Costituzione dice: «La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare» (art. 29). Leggendo gli Atti dell’Assemblea Costituente e in particolare le sedute del 30 ottobre 1946 e del 17 aprile 1947, veniamo a sapere che i Padri costituenti non hanno preteso di dare una definizione del matrimonio, ma semplicemente avevano la chiara consapevolezza che il matrimonio e la famiglia sono realtà che preesistono allo Stato. L’espressione «famiglia come società naturale» non deve far pensare a un rinvio a quella particolare corrente di pensiero che si chiama diritto naturale, ma significa solo che la famiglia e il matrimonio, che la fonda, sono realtà umane che precedono la Costituzione, il diritto positivo, e qualsiasi forma di organizzazione dello Stato, repubblica o monarchia che sia.

Dire, poi, che «La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio» ha anche un altro scopo: lo Stato riconosce non solo la preesistenza della famiglia e del matrimonio, ma si impegna anche a rispettarne l’autonomia e l’ordine interno. I Padri costituenti hanno voluto così reagire all’esperienza e alla tentazione ricorrente dei regimi totalitari: questi regimi totalitari, infatti, intervengono sulla famiglia, anche con atti legislativi e burocratici, con un eccesso di autoritarismo e minano la libertà dei singoli.

Il matrimonio fondante la famiglia, di cui parlano l’art. 29 della Costituzione e gli Atti della Costituente, non è definito né dalla Costituzione né dal Codice Civile. È una realtà che precede e preesiste. Questo modo di agire del legislatore e il fatto che la Costituzione usi l’espressione «La Repubblica riconosce» stanno a significare che lo Stato prende atto anche dei presupposti che fondano il matrimonio. E se il matrimonio è una realtà umana che precede lo Stato, precederanno lo Stato anche i presupposti del matrimonio. Tali presupposti saranno quindi pre-giuridici, saranno dei presupposti antropologici, cioè conseguenti all’identità della persona umana. Quali sono tali presupposti pre-giuridici del matrimonio?

Leggendo la tradizione giuridica classica romana, di epoca repubblicana e imperiale, e gli Atti della Costituente balzano all’evidenza alcuni presupposti pre-giuridici: la dualità della differenza sessuale – cioè l’essere maschio il marito e l’essere femmina la moglie –; la complementarietà – si parla di società, di consortium omnis vitae (Digesto XXIII,2) –; e l’uguaglianza nella differenza. Oggi stiamo smarrendo l’evidenza circa questi presupposti pre-giuridici. Nota, poi, che si tratta di dati oggettivi che si impongono a tutti, l’identità sessuale, essere maschio o essere femmina, così come l’età anagrafica, sono dati oggettivi. Sono pre-giuridici, cioè valgono sempre qualsiasi sia l’ordinamento giuridico nel quale uno si trova a vivere, sono dati che attengono alla persona umana in quanto tale. Proprio questi dati oggettivi, in particolare quelli della dualità sessuale – essere maschio e essere femmina – e della rispettiva complementarietà fondano il matrimonio.

Il disegno di legge della senatrice Cirinnà propone una precisa operazione descritta in questi articoli che riporto. «Art. 1 Finalità. Le disposizioni del presente Capo istituiscono l’unione civile tra persone dello stesso sesso quale specifica formazione sociale». Per costituire l’unione civile è sufficiente una dichiarazione all’ufficiale di stato civile: «Art. 2 Costituzione dell’unione civile tra persone dello stesso sesso. 1. Due persone maggiorenni dello stesso sesso costituiscono un’unione civile mediante dichiarazione di fronte all’ufficiale di stato civile e alla presenza di due testimoni». Circa i diritti e i doveri leggi l’Art. 3 «Diritti e doveri derivanti dall’unione civile tra persone dello stesso sesso. 1. Con la costituzione dell’unione civile tra persone dello stesso sesso le parti acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri; dall’unione civile deriva l’obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale e alla coabitazione. Entrambe le parti sono tenute, ciascuna in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale e casalingo, a contribuire ai bisogni comuni. 2. Le parti concordano tra loro l’indirizzo della vita familiare e fissano la residenza comune; a ciascuna delle parti spetta il potere di attuare l’indirizzo concordato». Queste parole ti ricordano qualcosa? Quelle che vengono lette al termine delle nozze. Sono le stesse.

Se non fosse ancora chiara l’operazione prodotta dal disegno di legge, leggi ancora l’Art. 4 «Le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole “coniuge”, “coniugi” o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso». L’operazione di fatto realizzata dal disegno di legge è estendere la disciplina del matrimonio alle unioni tra persone dello stesso sesso. Se il disegno di legge entrasse in vigore, ciò che oggi l’ordinamento giuridico prevede per il matrimonio si applicherebbe alle unioni tra persone dello stesso sesso, producendo alcune conseguenze.

1. L’ingiustizia da legge ordinaria. Matrimonio e unioni tra persone dello stesso sesso sarebbero messe sullo stesso piano, cioè sarebbero omologate, trattate allo stesso modo. Ciò è una violazione palese del principio di uguaglianza. L’uguaglianza, che tutti desideriamo, prevista dalla Costituzione all’art. 3, così come interpretata costantemente dalla Corte costituzionale, non significa né trattare tutti allo stesso modo né omologare. Ma significa dare un trattamento uguale a fenomeni uguali e un trattamento diverso a fenomeni diversi, per il semplice fatto che trattare in modo identico situazioni diverse è iniquo.

2. La contraffazione linguistica. Con una semplice legge ordinaria sarebbe di fatto modificata la Costituzione della Repubblica. Il che viola la procedura speciale di revisione della Costituzione. E poi, la parola matrimonio all’art. 29 della Costituzione, così come si evince dagli Atti della Costituente, significa la società tra marito e moglie, che si fonda su un dato oggettivo pre-giuridico della differenza dell’identità sessuata. Estendendo la disciplina del matrimonio all’unione tra persone dello stesso sesso di fatto il legislatore ordinario altera radicalmente il significato di quella parola.

3. La rivoluzione antropologica e civile. Estendendo la disciplina del matrimonio alle persone dello stesso sesso la Repubblica abbandona i presupposti pre-giuridici oggettivi che fondano il matrimonio, cioè la dualità dell’identità sessuata e la complementarietà. E così l’ordinamento giuridico del nostro Paese si non si fonderebbe più sul dato oggettivo, primario della differenza sessuale tra maschio e femmina, ma sull’orientamento o sulla preferenza sessuale. Ora, usare gli orientamenti e/o le preferenze, indipendentemente dal fatto che siano di tipo sessuale o non sessuale, come categorie di identificazione sociale e giuridica è un’operazione: a) riduttiva, perché nessuno di noi esaurisce sé nell’orientamento o nelle preferenze; b) soggettiva, perché orientamento e preferenza non fanno riferimento a caratteristiche evidenti come l’identità sessuale, la razza o una condizione di invalidità; c) aleatoria: se un Paese dà diritto di cittadinanza a un orientamento, in ragione del principio di uguaglianza dovrà ammettere anche la legittimità degli altri orientamenti, senza sindacarne il contenuto (per questi temi rinvio a Giorgio Carbone, Gender. L’anello mancante? Edizioni Studio Domenicano).

«Che male fanno agli altri, si vogliono bene e chiedono solo diritti per loro». È un mantra oggi ricorrente. È uno slogan che porta il discorso sul terreno dei sentimenti. Non lasciamoci trascinare dal pathos emotivo. Restiamo agli argomenti razionali e oggettivi. Non giudichiamo gli affetti e le singole situazioni anche dolorose. Ma consideriamo seriamente i tre effetti iniqui, falsificatori e rivoluzionari prodotti dal disegno di legge Cirinnà.

Se per i giudici l’aborto è sempre un diritto

di Giacomo Rocchi (magistrato)

Le Sezioni Unite della Cassazione sono il massimo organo giurisprudenziale del nostro Paese: quando sorge una questione importante e discussa di interpretazione di una legge, questo organo superiore viene chiamato a dire l’ultima parola sull’effettivo contenuto della norma, su ciò che l’ordinamento giuridico prevede, vieta e permette. 

Nella causa decisa con la sentenza n. 25767 depositata ieri, i genitori di una bambina affetta da sindrome di Down avevano chiesto la condanna al risarcimento del danno dei sanitari e della struttura cui si erano rivolti, sostenendo che, dopo un esame con esito negativo eseguito al quarto mese di gravidanza per verificare se il feto fosse affetto da sindrome di Down, non erano seguiti altri approfondimenti benché i valori emersi non fossero corretti, cosicché la nascita non desiderata derivava da colpa dei medici. La domanda era stata presentata sia dalla madre per i danni che ella avrebbe subito, sia da entrambi i genitori a nome della figlia per quelli che la bambina avrebbe subito per il fatto di non essere stata abortita. 

Le Sezioni Unite hanno respinto la domanda presentata a nome della bambina (sconfessando una precedente sentenza); hanno invece chiesto ulteriori approfondimenti con riferimento alla domanda di risarcimento dei danni presentata dalla madre. Ma una madre ha diritto al risarcimento del danno per la nascita indesiderata di un figlio con sindrome di down? L’affermazione delle Sezioni Unite civili della Cassazione pesa come un macigno: «Dopo il novantesimo giorno di gravidanza, la presenza delle condizioni ivi rigorosamente tipizzate non ha solo efficacia esimente da responsabilità penale, ma genera un vero e proprio diritto all’autodeterminazione della gestante di optare per l’interruzione della gravidanza» 

La legge 194 del 1978 sull’aborto, oltre ad essere iniqua, permettendo l’uccisione dell’innocente, è anche una legge ipocrita: vuole nascondere la sostanza della disciplina dietro diversi paraventi. Nei primi novanta giorni di gestazione, la libertà della donna di abortire è affermata, ma fatta precedere da un elenco di circostanze che renderebbero “pericolosa” la prosecuzione della gravidanza, anche se, in realtà, non hanno nessuna influenza sull’esecuzione dell’aborto, cui la donna può sottoporsi in ogni caso dopo sette giorni dal colloquio (artt. 4 e 5). Per l’aborto dopo i novanta giorni lo schermo creato dal legislatore è ancora più spesso: negli articoli 6 e 7 non si parla di richiesta e di decisione della donna, ma solo di grave pericolo per la sua salute fisica o psichica e di accertamento e certificazione da parte dei medici. Insomma: l’aborto è presentato come una necessità sanitaria, al pari dell’asportazione di un tumore, tanto che è espressamente previsto un intervento urgente in caso di imminente pericolo per la vita della donna. È il famoso “aborto terapeutico”. 

Le Sezioni Unite squarciano il velo e usano la parola esatta: autodeterminazione; così come nei priminovanta giorni, anche nel prosieguo della gravidanza la donna ha la libertà di scegliere di interromperla: ciò che conta è la sua volontà di abortire. Ma il periodo avanzato della gravidanza è proprio quello in cui si scoprono alcune «rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro», che il legislatore aveva premurosamente previsto come causa di possibile grave pericolo per la salute della donna: proprio come avvenuto nel caso in questione.

Tutto normale, tutto già visto: medici già condannati a risarcire i danni per avere impedito alla donnadi esercitare il suo diritto a interrompere la gravidanza, addirittura padre e fratelli anch’essi risarciti perché la presenza di un figlio e fratellino Down aveva peggiorato la loro qualità della vita … Oggi sono le Sezioni Unite a confermare che è un diritto uccidere un bambino down per la sua condizione. Del resto: non lo aveva già detto la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, per giustificare la diagnosi genetica preimpianto sugli embrioni (causa Costa Pavan: «il sistema legislativo italiano manca di coerenza: da un lato, esso vieta l’impianto limitato ai soli embrioni non affetti dalla malattia di cui i ricorrenti sono portatori sani; dall’altro, autorizza i ricorrenti ad abortire un feto affetto da quella stessa patologia»)? 

E non lo ha confermato la Corte Costituzionale per giustificare l’accesso alla fecondazione artificiale di coppie fertili portatrici di malattie genetiche trasmissibili (sentenza n. 96 del 2015: «con palese antinomia normativa, il nostro ordinamento consente, comunque, a tali coppie di perseguire l’obiettivo di procreare un figlio non affetto dalla specifica patologia ereditaria di cui sono portatrici, attraverso la, innegabilmente più traumatica, modalità della interruzione volontaria (anche reiterata) di gravidanze naturali – quale consentita (…) dalla legge 22 maggio 1978, n. 194 quando, dalle ormai normali indagini prenatali, siano, appunto accertati processi patologici […] relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna»)?

Forse abbiamo perso la capacità di scandalizzarci; forse diamo per scontato che la nascita di unbambino down provochi un “danno” che qualcuno, in un modo o nell’altro, deve “risarcire” e che è bene evitare; forse siamo stati educati, in questi 37 anni di vigenza, dalla legge 194, così da invocarne l’attuazione piena, invece che la sua abrogazione. Ecco: la legge 194 è questa! 

Nella sentenza delle Sezioni Unite si rinvengono molti altri spunti, anche positivi: come si è detto, èstato affermato che un bambino down o comunque disabile non ha diritto a essere risarcito per essere stato fatto nascere. La Corte, però, è attenta a non invadere campi ancora da “esplorare”: e così, dopo avere escluso che l’ordinamento riconosca il «diritto alla non vita», la sentenza si affretta a precisare che si tratta di «cosa diversa dal cd. diritto di staccare la spina, che comunque presupporrebbe una manifestazione positiva di volontà ex ante (testamento biologico)», inciso che fa apparire già esistente un diritto a morire degli adulti che l’ordinamento non riconosce affatto. 

Leggiamo poi che le Sezioni Unite respingono una «deriva eugenetica», vale a dire «il rischio di una reificazione dell’uomo, la cui vita verrebbe ad essere apprezzabile in ragione dell’integrità psicofisica» e richiamano la Corte Costituzionale tedesca per la «chiara negazione che la vita di un bambino disabile possa mai considerarsi un danno, sul presupposto implicito che abbia minor valore di quella di un bambino sano»: tutto molto bello, ma che non ha fatto nascere nessun dubbio di costituzionalità della legge 194; quella legge che – diciamolo ancora! – riconosce come diritto l’uccisione di un bambino innocente, come dovere per lo Stato ucciderlo su richiesta, come obbligo per i medici di segnalarlo perché si provveda alla sua eliminazione, come danno da risarcire la sua nascita. Chissà se il periodo di Natale e la festa dei Santi Innocenti ci aiuteranno a comprendere e a reagire. 

Lettera al Presidente del Senato, per il DDL 2081 sulle Unioni Civili

Al Presidente del Senato sen. Pietro Grasso,
Al Segretariato Generale del Senato,
e p.c. al Coordinamento Nazionale Child Audition

OGGETTO: DDL 2081

Pregiatissimo Presidente sen. Grasso,
egregi Signori Senatori,

 

 

Il Coordinamento dei Bioeticisti e degli Psicoterapeuti Cattolici del Triveneto (BioPsiCaT),

  • sollecitato da cittadini che hanno espresso preoccupazione per il ciclo di audizioni in materia di regolamentazione delle unioni civili omosessuali e delle coppie di fatto,
  • venuto a conoscenza che l’argomento interessa direttamente gli eventuali figli minori di ciascuna delle parti dell’unione civile e che soprattutto l’art. 5 riguarda e coinvolge prevalentemente i bambini,
  • rilevato come fosse inizialmente previsto un periodo di audizioni estremamente esiguo, da tenersi nell’arco di meno di dieci giorni, come si evince anche da pubblicazione nel sito della Relatrice Sen. Monica Cirinnà,

si unisce alle Associazioni promotrici della richiesta di un necessario supplemento istruttorio di audizione presso codesta Loro sede.

Motiviamo questa nostra richiesta alla luce di una fase di audizioni le cui dinamiche e i tempi totali previsti non hanno assicurato una partecipazione delle associazioni che specificamente e professionalmente da anni sono impegnate nel contrasto all’adultocentrismo e a sensibilizzare la società ad assumere il punto di vita del bambino.

Rimarcando che l’articolo 3, comma 1, della Convenzione O.N.U. sui diritti del fanciullo del 1989 (recepita dal Legislatore italiano con Legge n. 176/1991) dichiara che:

“In tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza sia delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente. “

Riteniamo che l’esclusione del Coordinamento dei Bioeticisti e degli Psicoterapeuti Cattolici del Triveneto e delle altre realtà, movimenti, associazioni che si curano e promuovono anche i diritti dei bambini e che svolgono la funzione di coscienza attiva e critica di una società ancora adultocentrica, rappresenti un inaccettabile impoverimento della dialettica e del confronto che precede la redazione definitiva di una proposta di legge.

Chiediamo quindi al Presidente e ai membri della Commissione Giustizia di assumere, attraverso un supplemento di audizioni, il punto di vista del bambino, estendendo l’audizione a rappresentanti del Coordinamento BioPsiCaT e delle altre associazioni che promuovono i diritti dei bambini.

Esprimiamo fattiva solidarietà al Coordinamento Nazionale Child Audition e, con esso, chiediamo la pronta apertura di uno spazio temporale di ascolto , per noi e per ogni altra formazione sociale che si aggiungerà , sottoscrivendo questo appello ed aderendo al Coordinamento Nazionale Child Audition per tale proposito.

Esse dovranno essere comprese in un apposito elenco da aggiornare progressivamente. Chiediamo altresì la calendarizzazione delle rispettive audizioni.

 Auguriamo alle Signorie Loro un buon lavoro in questo nuovo anno 2016 e porgiamo distinti saluti.

 

Il Presidente del Coordinamento dei Bioeticisti e degli Psicoterapeuti Cattolici del Triveneto (BioPsiCaT)

 

Silvio dr. Fontanini                                                                       Verona, 08 gennaio 2016

 

ProVita-Generazione Famiglia: successo della Giornata Nazionale “Prima la famiglia”

provita“La prima Giornata Nazionale per il Diritto di Priorità Educativa della Famiglia ha registrato uno straordinario successo in tutta Italia: chiediamo al Ministro di ricevere quanto prima i promotori dell’iniziativa per dare risposta al disagio di centinaia di migliaia di genitori, preoccupati per l’ingresso nelle scuole dell’ideologia Gender”.

Lo affermano in una nota congiunta Filippo Savarese, portavoce dell’associazione pro-family Generazione Famiglia, e Alessandro Fiore, portavoce di ProVita Onlus, co-promotrice dell’evento insieme ai Giuristi per la Vita e Voglio la Mamma di Mario Adinolfi, associazioni promotrici anche del Family Day dello scorso 20 giugno a Roma.

Dai siti delle associazioni promotrici sono state scaricate infatti migliaia di lettere da inviare al Ministro Giannini con la richiesta di un incontro ufficiale, e da tutto il territorio arrivano migliaia di segnalazioni via mail e social network di adesione allo “sciopero dei banchi”: una giornata di assenza di bambini e ragazzi per ribadire il diritto di priorità della famiglia nell’educazione sessuale e affettiva dei figli.

“Ci auguriamo – aggiungono Savarese e Fiore – che il Ministro non sottovaluti questa grande adesione, perché noi continueremo l’attività quotidiana di monitoraggio e denuncia dei casi concreti nelle scuole, e non escludiamo l’idea di una manifestazione delle famiglie direttamente sotto il Ministero dell’Istruzione”, concludono.

Lo rende noto l’ufficio stampa di ProVita Onlus.

Applausi dai pro-family italiani alla Slovenia che boccia le adozioni gay

sloveniaelectionLe coppie omosessuali slovene non potranno sposarsi e non potranno adottare bambini. Lo ha stabilito il referendum abrogativo che domenica in Slovenia ha respinto la legge che regola l’istituto della famiglia. Legge che, al contrario, ammetteva matrimoni e adozioni per le coppie omosessuali. Contro la legge si è espresso il 63,3% dei votanti, favorevole soltanto il 36,7%. Perché la legge fosse abrogata era necessario, secondo la legislazione referendaria, che gli elettori contrari fossero almeno il 20 per cento di tutto il corpo elettorale sloveno. In numeri assoluti la barriera del quorum è stata posta a 342 mila voti contrari, ed è stata ampiamente superata, arrivando a oltre 387 mila voti contrari. La legge respinta fu approvata in Parlamento nel marzo scorso, tra forti polemiche, con 51 voti favorevoli e 28 contrari.

La Slovenia può essere un modello?

“Il popolo sloveno ha dato una lezione storica all’Europa”: così Filippo Savarese, portavoce di “Generazione Famiglia”, tra le associazioni promotrici del Family Day del 20 giugno a Roma, ha commentato l’esito del referendum. E proprio sulle unioni civili, in calendario al Senato a fine gennaio, Savarese promette battaglia: “Ci stiamo già confrontando con le altre associazioni per organizzare il prima possibile un nuovo Family Day a Roma, ma come Generazione Famiglia proponiamo di iniziare subito a costituire un grande soggetto popolare che sia promotore di un referendum abrogativo se il Parlamento dovesse ignorare la volontà del popolo in difesa della famiglia e dei diritti dei bambini”. “Emozione e soddisfazione” sono stati espressi dal sociologo torinese Massimo Introvigne, presidente dei Comitati Sì alla famiglia e vice responsabile nazionale di Alleanza cattolica.

di Riccardo Arbusti

Ecco a cosa mira il “Gender”

Quali motivazioni dietro a questo nuovo fenomeno culturale?

Attraverso questo articolo si cerca di fornire al lettore le motivazioni profonde di un fenomeno molto dibattuto, ma poco conosciuto nelle sue vere finalità: conoscere le finalità di un processo culturale è conoscerne anche la sua natura e la sua causa.

genderPadre Giorgio Carbone, docente di bioetica alla Facoltà teologica di Bologna, unisce in sé il radicamento nella profonda dottrina tomista, cosa tipica per un domenicano (almeno una volta…) con una partecipata attenzione critica alle vicende dell’attualità. Da tempo collabora con blog e riviste offrendo spunti sempre interessanti e originali sulle più pressanti questioni etiche e antropologiche, trattate con il bisturi dello specialista in teologia morale, ma anche con la pastoralità dell’uomo di Dio. Dopo vari libri sulle tematiche spinose e spesso incomprese della contraccezione, della fecondazione artificiale e dell’aborto, il teologo domenicano ci offre ora un saggio di sintesi sulla più pericolosa e meno scientifica delle ideologie contemporanee (G. Carbone, Gender. L’anello mancante?, ESD, Bologna 2015, pp. 154, € 14). In dieci rapidi capitoletti viene ripercorsa tutta la magmatica filosofia del gender, dalle origini ad oggi, soffermandosi sulle conseguenze sociali ed educative, prima ancora che giuridiche e morali, di una regressione tanto nefasta quanto insopportabile. Nell’introduzione padre Carbone avverte il lettore su un fatto di non minima importanza. L’obiettività delle analisi che ha condotto per anni, così come le diagnosi proposte in conclusione (cf. pp. 132-142), non cancellano la cristiana carità, la quale sintetizza “solidarietà, misericordia e aiuto concreto” verso ogni persona come tale, non per le virtù o i pregi che eventualmente la connotano, ma “per il semplice fatto che (…) esiste” (p. 10). Ciò detto, è proprio per l’amore degli uomini e dell’umanità intera, non esclusi gli omosessuali, i bisessuali e i transessuali, che bisogna non arrendersi a delle teorie sbagliate e ingannatrici, in particolare quando queste hanno la potenzialità di distruggere la famiglia e con essa l’educazione dei bambini e la pace. Le origini remote della teoria del gender vengono fatte risalire a John Money, che effettivamente fu tra i primissimi psicologi a proporre la distinzione tra il sesso, come “ciò che attiene agli organi genitali e alle loro funzioni”, e il genere che invece sarebbe “ciò che ha a che fare con le differenze comportamentali e psicologiche” (p. 17). Il più noto esperimento di Money fu quello attuato su Bruce Reimer (1965-2004), evirato a due anni col consenso dei genitori e cresciuto come una bambina… Su questa orribile violenza compiuta in nome della scienza un giornalista americano ha fatto pienamente luce (cf. J. Colapinto, Bruce, Brenda e David. Il ragazzo che fu cresciuto come una ragazza, San Paolo, 2014). Tale esperimento di ingegneria psico-sessuale si concluse dolorosamente con il suicidio di Bruce, dopo il suo rifiuto della femminilità imposta dai genitori e dal medico (Frankenstein) Money. Già qui il gender e la “asessualità spirituale” dell’essere umano avrebbero dovuto arrestarsi. E invece no. Molto interessanti poi le pagine che padre Giorgio dedica al contributo del femminismo, specie radicale, alla teoria del gender. E’ arcinota la frase cult della profetessa femminista Simone de Bouvoir: “Donna non si nasce, lo si diventa. Nessun destino biologico, psichico, economico definisce l’aspetto che riveste in seno alla società la femmina dell’uomo; è l’insieme della storia e della civiltà a elaborare quel prodotto intermedio tra il maschio e il castrato che chiamiamo donna” (cit. a p. 27). Difficile però accumulare in poche righe tante scemenze! Se infatti furono la storia e la civiltà ad inventare il ruolo della donna (e non la biologia, la natura e la Provvidenza), come mai visto che l’umanità è equamente ripartita tra maschi e femmine, sarebbe stato l’uomo ad aver imposto alla donna il suo ruolo e mai il contrario? L’unica risposta è che la donna sarebbe inferiore nella capacità di dominare e assoggettare l’altro. E questo spinge a dirlo proprio la caporiona arrabbiata del femminismo! No, i ruoli ci sono ed esistono, sempre e ovunque. Adamo per fortuna non è in tutto uguale ad Eva. Né lei a lui. La stessa Bibbia parla di un aiuto che è “simile” ad Adamo, non uguale (Gen 2,18). E i Padri della Chiesa si esprimono così: “La donna non fu tratta dalla testa di Adamo affinché non si credesse superiore, né fu tratta dai piedi affinché non fosse tenuta come serva o schiava. Ma fu formata dalla costola affinché fosse ritenuta come compagna di vita” (secondo il commento di p. Marco Sales). Complementarità, collaborazione, attrazione reciproca, differenze attitudinali, istinto di procreazione, matrimonio, famiglia… civiltà! E’ questo splendido e armonico paesaggio umano, disegnato e calibrato al millimetro dal più grande dei Pittori che si vuole sostituire con le teorie nullificanti e negazioniste del gender. Così la degna erede della Beauvoir, la Firestone scriveva che “il fine ultimo della rivoluzione femminista non consiste nell’eliminazione dei privilegi, ma nella stessa cancellazione delle distinzioni tra sessi (…). Il tabù dell’incesto oggi serve solo a preservare la famiglia. Se ci sbarazzassimo della famiglia ci sbarazzeremmo anche delle repressioni (…). I tabù sessuali adulto/bambino e omosessualità sparirebbero” (cit. a p. 29). E non si può che darle ragione: la fine della famiglia, desiderata dagli ideologi del gender, sarebbe altresì la fine di molti tabù e l’apertura ad ogni perversione, ad ogni violenza, ad ogni mostruosità. Di questo si tratta signori lettori, e non di una mera filastrocca, tipo Emma e le sue due mamme…
Le stesse agenzie Onu e tutte le lobby al servizio del potere credono davvero che, per istituire una società migliore e più equa, “il femminile e il maschile sono categorie o da cambiare o da abbattere” (p. 33). Sarebbe come voler abolire la moneta per creare l’eguaglianza economica tra i cittadini! Ancora nel 2013 un certo J. W. Scott, citato da padre Carbone, scriveva che “il ricorso alla biologia rende più difficili gli appelli all’eguaglianza” (p. 32): e questo dimostra che di teorie anti-biologiche e anti-scientifiche si tratta.
In questo quadro è piccante ricordare che proprio gli psicologi e psicanalisti contemporanei, forse più degli autori classici, hanno definito l’omosessualità come “aberrazione sessuale” (Freud), “complesso di inferiorità” (Adler), “infantilismo psichico” (Stekel), “auto-commiserazione” (Arndt), “idolizzazione” (Hatterer), etc. Addirittura per Freud l’omosessualità maschile avrebbe come concausa il “disprezzo della donna fino all’orrore” (p. 59), e così gli unici veri maschilisti sarebbero i gay! Andando nel profondo poi il gender contiene un assalto implicito contro il concetto di natura e la sua immutabilità, e perfino contro il concetto di ens, o essere, metafisicamente fondato. “Ciò che è esiste, ciò che non è non esiste”: la base del pensiero e del ragionamento per le agenzie del gender implicherebbe omofobia, violenza, intolleranza e razzismo. Così le stesse categorie progressiste LGBT sono andate aumentando aggiungendo via via nuove lettere per nuovi generi. Ma non può bastare mai: infatti gli autori pro gender parlano di “fluidità” come “capacità di diventare in modo cosciente e libero uno degli infiniti numeri di genere (…). La fluidità di genere non conosce limiti o regole” (p. 38). E’ il limite che fa paura, rifiutando quindi l’umanità come Dio l’ha fatta ed è la regola, ogni regola, che viene vista come ingiustizia e sopruso. Magari domani diranno che criticare l’incesto è bigottismo e moralismo! In conclusione la visione antropologica secondo il gender è definita dal teologo come “riduttiva, dannosa, utopica e caotica” (p. 134). Il suo lascito alla cultura umana sta nell’aumento certo delle tensioni sociali, delle diatribe scolastiche, della confusione psicologica dei bambini, della lotta di classe combattuta stavolta tra sessi e (infiniti) orientamenti sessuali. Insomma in una spinta di micidiale potenza contro la famiglia, la religione e la civiltà.

Giorgio Maria Carbone
Docente di Bioetica alla Facoltà teologica di Bologna

(tratto dal quotidiano La Croce, 30 maggio 2015)

Priorità ai genitori sull’educazione dei propri figli

Occorre sostenere il diritto dei genitori all’educazione dei propri figli e rifiutare ogni tipo di sperimentazione educativa sui bambini e sui giovani, usati come cavie da laboratorio, in scuole che assomigliano sempre di più a campi di rieducazione e che ricordano gli orrori della manipolazione educativa già vissuta nelle grandi dittature genocide del secolo XX, oggi sostituite dalla dittatura del pensiero unico

DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
ALLA DELEGAZIONE DELL’UFFICIO INTERNAZIONALE
CATTOLICO DELL’INFANZIA (BICE)

Venerdì, 11 aprile 2014

Vi ringrazio di questo incontro. Apprezzo il vostro impegno in favore dei bambini: è una espressione concreta e attuale della predilezione che il Signore Gesù ha per loro. A me piace dire che in una società ben costituita, i privilegi devono essere solo per i bambini e per gli anziani. Perché il futuro di un popolo è in mano loro! I bambini, perché certamente avranno la forza di portare avanti la storia, e gli anziani perché portano in sé la saggezza di un popolo e devono trasmettere questa saggezza.

Possiamo dire che il BICE è nato dalla maternità della Chiesa. Infatti prese origine dall’intervento delPapa Pio XII in difesa dell’infanzia all’indomani della II guerra mondiale. Da allora questa organizzazione si è sempre impegnata a promuovere la tutela dei diritti dei minori, contribuendo anche alla Convenzione dell’ONU del 1989. E in questo suo lavoro collabora costantemente con gli uffici della Santa Sede a New York, a Strasburgo e soprattutto a Ginevra.

Lei con delicatezza ha parlato del buon trattamento. La ringrazio per questa espressione delicata. Ma mi sento chiamato a farmi carico di tutto il male che alcuni sacerdoti – abbastanza, abbastanza in numero, ma non in proporzione alla totalità – a farmene carico e a chiedere perdono per il danno che hanno compiuto, per gli abusi sessuali sui bambini. La Chiesa è cosciente di questo danno. E’ un danno personale e morale loro, ma di uomini di Chiesa. E noi non vogliamo compiere un passo indietro in quello che si riferisce al trattamento di questo problema e alle sanzioni che devono essere comminate. Al contrario, credo che dobbiamo essere molto forti. Con i bambini non si scherza!

Ai nostri giorni, è importante portare avanti i progetti contro il lavoro-schiavo, contro il reclutamento di bambini-soldato e ogni tipo di violenza sui minori.

In positivo, occorre ribadire il diritto dei bambini a crescere in una famiglia, con un papà e una mamma capaci di creare un ambiente idoneo al suo sviluppo e alla sua maturazione affettiva. Continuando a maturare nella relazione, nel confronto con ciò che è la mascolinità e la femminilità di un padre e di una madre, e così preparando la maturità affettiva.

Ciò comporta al tempo stesso sostenere il diritto dei genitori all’educazione morale e religiosa dei propri figli. E a questo proposito vorrei manifestare il mio rifiuto per ogni tipo di sperimentazione educativa con i bambini. Con i bambini e i giovani non si può sperimentare. Non sono cavie da laboratorio! Gli orrori della manipolazione educativa che abbiamo vissuto nelle grandi dittature genocide del secolo XX non sono spariti; conservano la loro attualità sotto vesti diverse e proposte che, con pretesa di modernità, spingono i bambini e i giovani a camminare sulla strada dittatoriale del “pensiero unico”. Mi diceva, poco più di una settimana fa, un grande educatore: “A volte, non si sa se con questi progetti – riferendosi a progetti concreti di educazione – si mandi un bambino a scuola o in un campo di rieducazione”.

Lavorare per i diritti umani presuppone di tenere sempre viva la formazione antropologica, essere ben preparati sulla realtà della persona umana, e saper rispondere ai problemi e alle sfide posti dalle culture contemporanee e dalla mentalità diffusa attraverso i mass media. Ovviamente non si tratta di rifugiarci in ambienti protetti nasconderci, che al giorno d’oggi sono incapaci di dare vita, che sono legati a culture che già sono passate… No, questo no, non va bene. Ma affrontare con i valori positivi della persona umana le nuove sfide che ci pone la cultura nuova. Per voi, si tratta di offrire ai vostri dirigenti e operatori una formazione permanente sull’antropologia del bambino, perché è lì che i diritti e i doveri hanno il loro fondamento. Da essa dipende l’impostazione dei progetti educativi, che ovviamente devono continuare a progredire, maturare e adeguarsi ai segni dei tempi, rispettando sempre l’identità umana e la libertà di coscienza.

Grazie ancora. Vi auguro un buon lavoro.

Mi viene in mente il logo che la Commissione della protezione dell’infanzia e dell’adolescenza aveva a Buenos Aires, e che Norberto conosce molto bene. Il logo della Sacra Famiglia sopra un asinello che scappa in Egitto per difendere il Bambino. A volte per difendere, è necessario scappare; a volte è necessario fermarsi per proteggere; a volte è necessario combattere. Però sempre bisogna avere tenerezza.

Grazie per quello che fate!

https://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2014/april/documents/papa-francesco_20140411_ufficio-cattolico-infanzia.html